Segnatevi la data: 15 marzo. Sembra proprio che il 15 marzo Raidue, dopo rinvii e attese, manderà in onda la video inchiesta sugli allevamenti intensivi “Animali come noi”.
Niente di nuovo. La solita storia su quello che accade nei lager dove si allevano animali e che nessuno vede e capisce salvo qualche giovane e intrepida amazzone illuminata dal sacro fuoco in questo mondo ammorbato da mangiatori di carne e dai loro pusher, ossia allevatori zozzoni e criminali contro i quali ogni arma è lecita per smarcherarne la brutalità.
Lo stile sarà presumibilmente il solito: prendere casi estremi, confezionarli con abilità e dare così sostanza a una tesi preconfezionata.
Che, intendiamoci, non mancano certo: ci sono migliaia e migliaia di allevatori, e sicuramente non mancano le pecore nere.
Ma questo vale per ogni categoria, è talmente ovvio da essere quasi mortificante doverlo dire.
Sarebbe un po’ come se, per assurdo, si facesse un’indagine sulle redazioni dei giornali, scoprendo Tizio che si mette le dita nel naso e poi pigia il tasto dell’ascensore; Caio che palpeggia in orario di lavoro la compagna del collega di scrivania; Sempronio che dimostra di essere più sensibile alle ragioni di questo e più severo rispetto alle ragioni di quello, in base a un suo piccolo tornaconto personale. Poi, da tutto questo, concludere che le redazioni dei giornali sono una schifezza.
Ovviamente è una cosa grottesca.
Mi permetto di ribadire solo un consiglio, per quel poco che può valere, come regola generale: non partecipate a questi talk show evidentemente di parte. Evitateli come il carbonchio. Sono plotoni di esecuzione e voi sareste la vittima del fuoco incrociato di tanti ospiti che vi massacreranno. Se vi va bene farete la figura dell’idiota. Se va male vi faranno confessare qualunque crimine.
Lasciate che se la suonino e se la cantino tra loro. Sono trasmissioni di nicchia, che si rivolgono a una fascia di adepti che chiedono solo conferma a quello che credono, non dibattito e scambio pacato di idee.