La chetosi, in forma clinica e in forma subclinica (quella che non si vede, ma c’è) fa fare meno latte, ma il latte che si fa rende meno in formaggio.
Nessuna scoperta da togliere il fiato. Però qualche spunto di riflessione può essere tratto.
Tanto più in tempi come questi, nei quali la ricerca della massima efficienza della stalla passa anche dalla riduzione al minimo di quelle dismetabolie – come la chetosi – che possono essere contenute anche con un migliorato management.
Dunque, è indubitabile l’effetto della chetosi sulla quantità di latte prodotto. Un dato però difficilmente stimabile con esattezza, dato che la patologia colpisce di preferenza le vacche più produttive, che fanno comunque molto latte e quindi, specie se subclinica, può passare inosservata.
Il latte comunque diminuisce e c’è un effetto trascinamento su tutta la lattazione. Secondo gli esperti, per dare qualche numero indicativo: 250 kg di latte in meno nell’intera lattazione con chetosi diagnosticata e trattata nelle prime 3 settimane di vita, ma i quantitativi di latte perso crescono con il progredire del momento della diagnosi di chetosi e del suo trattamento.
Già con il 20% di primipare o il 15% di pluripare con chetosi in stalla le perdite di latte sono significative.
Ma non è solo un problema di quantità di latte (non) prodotto. Ci sono anche gli effetti sulla qualità del latte e sulla sua resa casearia.
La chetosi porta a una variazione del rapporto grasso-proteine: il primo tende a crescere, le seconde a diminuire. Peggiora inoltre l’indice di caseina, ossia il rapporto tra la quantità di caseina e il resto della materia proteica presente nel latte.
Insomma: non solo la percentuale di proteine nel latte di vacche con chetosi diminuisce, ma peggiora anche la loro capacità di produrre formaggio, diminuendo le caseine e aumentando le sieroproteine.
Non sono piccoli numeri: per ogni quintale di latte munto ci sono 2,54 kg di formaggio in meno. Su una caldana da 10 quintali di latte sono 25 kg di formaggio che mancano all’appello.
Gli effetti della chetosi peggiorano poi se associati a un alto numero di cellule somatiche: oltre le 300mila cellule la resa del latte in formaggio peggiora in maniera significativa.
Che il grasso del latte aumenti con la chetosi potrebbe essere considerata una cosa, al limite, positiva, ma non è così: aumentano infatti gli acidi grassi a lunga catena e diminuiscono quelli a corta; aumentano i grassi insaturi rispetto ai saturi. Tutto questo ha un effetto negativo sulla dimensione dei globuli di grasso e sul loro affioramento.
Anche la componente minerale del latte è negativamente influenzata dalla chetosi: fosforo e calcio diminuiscono e anche questo peggiora l’attitudine del latte alla caseificazione.
Insomma, che sia clinica o, più di frequente, subclinica, alla chetosi conviene fare molta attenzione.
Venire a capo del problema (cosa che deve per forza avere un approccio d’insieme: nutrizionista, veterinario, allevatore) avrebbe un’utilità importante per l’azienda che vuole (o meglio, che deve) recuperare margini di efficienza.
Sempre, ma soprattutto laddove il latte che si fa diventa formaggio.
Un po’ come se nella stalla si tenesse qualche vacca in più in termini di produzione e resa in formaggio, ma senza costi aggiuntivi e senza nuove deiezioni di cui occuparsi per lo spandimento.