L’unica strada per cercare di dare sollievo al problema enorme della povertà in Africa e dello sradicamento di milioni di suoi abitanti, molti dei quali vanno ad alimentare il criminale mercato dei nuovi schiavi, è quello di creare aree di crescita economica sostenibile sul posto. Mentre i grandi progetti con grandi fondi attaccati finiscono spesso per disperdersi in mille vie, non ultime per importanza quelle della corruzione e della predazione, esperienze più piccole hanno il vantaggio di essere più efficaci e sostenibili nel lungo periodo. Questo Lo si può fare anche nel segno del latte.
Ecco perché credo meriti tutto il risalto possibile questa iniziativa che ha coinvolto anche Granarolo. Auguriamoci cento, mille, diecimila iniziative come queste.
Vediamo nel dettaglio.
Erano 800 i progetti in gara e Africa Milk Project si è classificata prima nella categoria: “Sviluppo sostenibile nelle piccole comunità rurali in aree marginali” (www.feedingknowledge.net). Sarà dunque uno dei 5 progetti che verranno presentati come Best Practice sulla sicurezza alimentare a livello mondiale all’interno del Padiglione Zero, lo spazio sviluppato in collaborazione con le Nazioni Unite che avrà il compito di introdurre i milioni di visitatori attesi al tema dell’esposizione universale di Milano. Il progetto sarà presentato attraverso un film, che Expo realizzerà, e sarà proiettato per sei mesi nel Padiglione Zero: racconterà la storia degli “eroi” di questo piccolo miracolo.
“Sarà importante raccontare ai milioni di visitatori di Expo la straordinarietà di questo progetto: una latteria sociale che è “modello di sviluppo inclusivo” perché ridistribuisce reddito a più membri di una comunità: gli 800 allevatori che conferiscono ogni giorno il latte, che altrimenti non avrebbero un mercato dove venderlo, e i lavoratori della latteria-caseificio e le loro famiglie”, ha spiegato Paolo Chesani, direttore di Cefa Onlus.
“La razionalità economica avrebbe consigliato di ritirare il latte da un’unica grande stalla con qualche centinaia di capi di bestiame, ma abbiamo scelto, invece, di coinvolgere 800 piccole imprese familiari contadine – che coinvolgono oltre 5000 persone – con 2-3 vacche ciascuna, ed è stata una bella sfida, ma siamo convinti che non esiste vero sviluppo, in un paese come la Tanzania, se i benefici della crescita non vengono ridistribuiti nel modo più ampio possibile. Grazie a questo circolo virtuoso, la latteria oggi è passata da progetto finanziato a una società i cui azionisti sono anche i partner-beneficiari”, ha concluso Chesani. “In questo modo le realtà locali coinvolte sono state messe in grado di prendere autonomamente in carico le attività progettuali dando vita a una sostenibilità di lungo periodo“. “Abbiamo sostenuto un progetto che replica il modello cooperativo sul quale Granarolo stessa si fonda, in una delle zone più povere della Tanzania.
Lo abbiamo sostenuto nel tempo con la tenacia di chi vuole arrivare a farlo decollare”, ha spiegato da parte sua Gianpiero Calzolari, Presidente di Granarolo, l’azienda che dal 2004 crede e sostiene attivamente questo progetto. “Oggi la latteria-caseificio di Njombe cammina con le proprie gambe grazie agli africani (tanti) della latteria, alle donne del distretto, che sono quelle che curano le stalle e gli animali, ai cooperanti di Cefa e ai lavoratori di Granarolo, sempre partecipi con le loro competenze. Siamo convinti che si potrà esportare questo modello per dare concrete opportunità lavorative ad altri allevatori e casari e una produzione di latte pastorizzato e quindi sicuro a tanti bambini nel mondo”.
La Njombe Milk Factory riceve ogni giorno 3200 litri di latte da 800 allevatori della zona che possiedono per lo più 2 o 3 vacche da latte. Una volta consegnato “a mano” o raccolto con un furgone, il latte è pastorizzato. Una volta la settimana e a prezzo contenuto, una certa quantità è distribuita in 58 scuole del distretto di Njombe (sud della Tanzania), raggiungendo un bacino di utenza che oggi è di 28 mila scolari. In parte il latte è venduto, e, in piccola quantità, donato a ospedali e orfanotrofi nei dintorni. Il rimanente diventa yogurt – distribuito nei mercati locali – e vari formaggi. Caciotta, provolone e specialmente mozzarella sono venduti nelle città più importanti della Tanzania e nell’isola di Zanzibar. Se all’inizio il progetto voleva migliorare la vita delle comunità rurali e sviluppare l’economia del distretto, oggi è un’impresa che comincia a fare utili. (Fonte Granarolo)