Che contro il consumo di carne ci sia un disegno ideologico – che poi si fa politico, se lasciato divulgare supinamente – è ormai evidente a tutti coloro che non hanno fette di salame sugli occhi.
Certo le fette di salame non le hanno i paladini del no-carne senza se e senza ma, non solo perché odiano il salame, ovviamente, ma perché ci vedono benissimo e vedono benissimo il loro punto di arrivo e le strade per arrivarci.
Ecco allora che ogni punto di partenza è buono per martellare nei media che chi mangia carne – non parliamo poi di chi la produce – è un quasi criminale, mette a rischio il pianeta e va rieducato, con le buone o con le cattive.
È sempre stato così con ogni ideologia, questa dell’ambientalismo intollerante non fa eccezione. Il che è preoccupante, perché conferma il sospetto che stia montando una posizione con cui sarà sempre più difficile dialogare e trovare punti di incontro ragionevoli.
Adesso è il caso degli incendi in Amazzonia, domani sarà altro. Ma il denominatore comune è sempre il solito: basta con la carne, basta con l’allevamento.
Attenzione: non è certo cosa da prendere sottogamba la questione ambientale, tutt’altro.
Il problema è quando questa diventa il trampolino per far rimbalzare le solite tesi preconfezionate, con i colpevoli già definiti da una parte e i buoni dall’altra. Senza dubbi, solo certezze, anche di fronte a problemi obiettivamente complessi.
Che fare? Difendersi e contrattaccare, anche se non è facile, perché le leve della comunicazione che conta e fa tendenza le hanno tutte o quasi in mano gli altri. Ma non si può fare diversamente.