Non si stancano mai. Che sia giorno o notte, che si sia in festa o nella tempesta, poche cose non cambiano: gli attacchi dei paladini dell’animalismo duro e puro, dei samurai della proteina vegetale, dei gran sacerdoti (e sacerdotesse) dell’ortodossia vegana.
Francamente non se ne può più, soprattutto dello smisurato spazio e delle continue affettuose attenzioni di cui godono nei media.
Ma ciò non toglie che si deve essere efficaci nella risposta.
Quindi, serve razionalità. E conoscere l’avversario.
È un classico, infatti (ad esempio) nel calcio: prima di affrontarlo in campo si deve conoscere l’avversario, come gioca, quali sono i suoi punti di forza, quali di debolezza. Non farlo sarebbe incoscienza, anche per lo squadrone che non ha – sulla carta – avversari.
Tanto più se la partita la deve giocare chi uno squadrone non è, conoscere come si muove l’avversario è imperativo per poter pensare di contrastarlo.
E veniamo a noi. Sono anni ormai che l’offensiva nei confronti del mondo delle produzioni animali imperversa nel mondo della comunicazione, con sempre maggiori strumenti e sempre più qualità e tecnica.
Chi, in questa disputa mediatica – per restare alla metafora calcistica – è lo squadrone e chi non lo è facile da capire: basta vedere come certi messaggi sono cresciuti, si sono moltiplicati, fanno tendenza e, inesorabilmente, plasmano opinioni e dettano agende, anche normative.
Questo anche perché chi si occupa di allevamento, a tutti gli effetti, brilla per assenza quasi totale nel campo della comunicazione e non è in grado di ribattere alle accuse. Non lo fa – o, magari, lo fa in maniera in genere inefficace – anche perché conosce ben poco degli schemi, del gioco, della tecnica dell’avversario che ha di fronte.
Per citare De Andrè, il più delle volte (come le comari in “Bocca di Rosa”, che non brillando di iniziativa nelle contromisure si limitavano all’invettiva) non si va molto al di là della critica un po’ sgangherata, disordinata e, sostanzialmente, inefficace.
Quindi?
Quindi la prima regola per imparare a essere efficaci è capire come si muove l’avversario, per imparare.
Ecco perché c’è da imparare da chi punta il dito accusatore.
Di seguito condivido con voi qualche osservazione sugli schemi adottati in materia, senza pretesa di genialità o completezza, ovviamente.
C’è sempre del marcio che viene tenuto nascosto. Le cose sono diverse da quel che pensate e vi raccontano. Ecco perché lo schema prevede sempre l’investigatore in azione, che va a sollevare il velo che copre le vergogne dell’allevamento. Insomma, il marcio c’è, è la regola, che solo pochi coraggiosi hanno il l’ardire di mostrare.
I controlli? Non li fa nessuno. Su questo argomento il terreno è sdrucciolevole. Perché abbiamo piene le orecchie di quanto la nostra filiera sia controllata, dei fantastiliardi di controlli fatti da legioni di veterinari pubblici e personale Asl di ogni ordine e grado. Tuttavia – questo è il messaggio che filtra – dato che gli “investigatori” animalisti hanno trovato quello che vi mostrano, e lo hanno fatto senza fatica, quali conseguenze trarre? Ovvio, che ci sia qualcosa di losco anche nei controlli, che le cose stiano in maniera diversa da quanto credete (vedi quanto detto sulla dietrologia).
Si parla di industria, non di allevamento. Industria della carne, industria del latte e così via. Questo evoca immediatamente immagini di ingranaggi, di tecnologia, di sfruttamento, di ambienti malsani, di scarichi inquinanti e via così. Le immagini a supporto vanno, ovviamente, in questa direzione.
Si cerca il particolare per definire il generale. Si cerca la situazione limite e la si fa diventare il paradigma di quella generale. Ecco perché anche una sola azienda condotta con i piedi (per strutture, gestione, benessere) può fare un danno enorme a tutti.
I filmati sono di ottima fattura tecnica. C’è solo da imparare: colonna sonore, immagini, inserzioni shock, interviste brevi, frasi accorate. Tutto, dall’inizio alla fine, è un bombardamento di emotività, confezionato perfettamente per lasciare, a fine visione, pochi ma indelebili messaggi.
Il tono è sempre drammatico, accorato, angosciato. Non c’è spazio per il dubbio, ci sono solo certezze, ovviamente di parte. E questo si allaccia al fatto che l’animalismo di cui sono araldi è, fondamentalmente, ideologico. E l’ideologia non ammette dubbi o incertezze. Questo per chi pensasse che ci siano spazi praticabili di dibattito e di compromesso: sullo sfondo c’è l’idea che l’allevamento deve essere bandito. Punto.
Nessuno è “al sicuro”. Per le visite di questi investigatori non c’è, evidentemente, violazione di domicilio. Ergo, tutto deve essere in ordine H 24, 365 giorni all’anno.
Chiudiamo qui, per ora.
Ma nessuno pensi che basti sfogarsi nei commenti sui social imprecando a chi fa la guerra all’allevamento. Di imprecazione in imprecazione ci si trova con le stalle in lockdown senza accorgersi.