Quel che si fa in asciutta lascia il segno (anche nelle generazioni successive). Questo il senso di ciò che emerge con sempre maggiore chiarezza. Vediamo.
Le sfide che deve affrontare l’allevamento sono note e impegnative: più sanità con meno antibiotici, più benessere con meno costi, redditività con basi prezzi del latte, eticità e capacità di comunicazione. per dire i maggiori, che ben sintetizzano la faccenda.
Combinazioni complicate, ma ineludibili perché la richiesta del consumatore, le scelte della distribuzione e l’azione del legislatore vanno decisamente tutte verso questa direzione. Il convoglio viaggia lanciato, che non tiene il passo resta fuori.
Combinazioni complicate, però, ma anche possibili, grazie allo sviluppo di nuove ricerche che si stanno traducendo in azioni sul campo innovative. Ricerche che coinvolgono anche l’integrazione minerale e vitaminica, vista in una nuova valenza, quella delle potenzialità epigenetiche, ossia della possibilità di agire direttamente sulle modalità di espressione di determinati geni, con risultati sul fenotipo che possono essere diversi a parità di genotipo proprio per l’azione di questi micronutrienti.
Risultati che, pur senza una modifica del genotipo, sarebbero poi anche trasmissibili alle generazioni successive.
Un campo di azione nuovo anche per la zootecnia, ma di grandissima potenzialità, perché coinvolge la capacità dell’animale, con opportune integrazioni mirate, di generare soggetti capaci di resistere meglio a determinati stress, di ammalarsi meno, di risentire meno degli effetti negativi legati ai mediatori chimici dei processi infiammatori.
Questo discorso si intreccia a quello, complementare, riguardante l’effetto epigenetico determinato dagli stress che l’animale subisce in fase di gestazione. Stress che, andando ad agire a livello di espressione genica, portano a soggetti dalle caratteristiche differenti a parità di genotipo di partenza.
Per fare un esempio sentito in un convegno sulla materia, che riguarda i suini, ma che spiega bene il concetto: suinetti nati da una scrofa che ha subito uno stress da caldo in gestazione avranno una temperatura corporea superiore (e quindi una necessità energetica basale superiore, che si riflette quindi negativamente sulla efficienza di trasformazione dell’alimento) rispetto a suinetti nati da una scrofa che non ha subito lo stress da caldo. E questo a parità di scrofa e quindi di genetica.
Questo spiega che non è solo questione di integrazione corretta e mirata, ma anche di riduzione al minimo degli stress, con un’attenzione nuova a quelli in gestazione e, in particolare, durante l’asciutta.
Non solo perché pregiudicano le prestazioni successive dell’animale che li subisce, ma perché vanno a interferire sulla sua progenie e oltre, modificando (nel male se ci sono stress, ma anche nel bene, se questi stress si riducono e/o si interviene in maniera mirata con la micronutrizione) quello che sta “scritto” nei geni.
La fase di gestazione (con particolare focus sui due mesi di asciutta) sempre più chiaramente si mostra come la frontiera ancora parzialmente inesplorata da illuminare con tante attenzioni, in mangiatoia e nelle strutture, assecondando bisogni (quelli noti e quelli in esplorazione) ed eliminando stress.
Anche questo è un modo di fare selezione, costa poco e rende molto.