Avere dei piani a medio e lungo termine per restare competitivi. Attorno a questo concetto ruotano un paio di riflessioni di un amico, un tecnico che vede molte stalle per lavoro, parla con molti allevatori e analizza un po’ di bilanci, anche se questi sono molto meno degli allevatori e delle aziende che vede.
“Oggi – spiega – ci troviamo dentro una crisi che è certo dovuta all’aumento dei costi di produzione, ma soprattutto è figlia di un fatto più strutturale, un trend in atto da tempo: si restringe il numero degli attori sulla scena, cioè il numero delle aziende attive.
Perdiamo un certo numero di aziende ogni anno, ma il numero complessivo di animali resta lo stesso. Questo significa che le aziende che restano sono sempre più grandi e, di conseguenza, non possono che impostare la loro gestione complessiva (concetto inteso nel senso più ampio) che su nuove basi“.
Cosa significa questo?
“Che se vuoi stare sul mercato oggi devi avere dei piani a medio e lungo termine per restare competitivo. Devi cioè sapere cosa vuoi essere tra 5 anni e cominciare a lavorare per arrivarci.
Ogni allevatore deve, a tal fine, mettere a punto una sua strategia. Certo, può vedere altri colleghi, cercare soluzioni e idee da altre aziende, ma fondamentalmente tutto deve essere ricondotto alla propria realtà, ai suoi equilibri, ai suoi punti di forza e alle sue debolezze.
È qui che si deve lavorare, con l’aiuto di validi consulenti, e a partire da punti di forza e di debolezza costruire la strategia di percorso per i prossimi anni, che porti all’obbiettivo che ci siamo dato”.
In questo discorso entrano anche i debiti di una azienda, che possono essere un macigno che chiude ogni possibilità di ragionamento a medio periodo, quella road map per definire l’azienda da qui a 5 anni a cui si accennava.
“Qui va sottolineata l’importanza di ragionare con la banca per la ristrutturazione del debito. Sarà più facile trovare orecchie attente se si prospetta un percorso negli anni improntato al recupero di efficienza e redditività.
Anche perché la banca vive di interessi e preferisce una ristrutturazione che gli garantisca (con gli interessi) un introito sicuro, sia pure diluito in più anni, piuttosto che ritrovarsi con terreni e aziende.
E ristrutturare un debito in maniera più sopportabile per l’azienda significa mettersi su un piano meno critico per il futuro”.
Ma su questo spinoso argomento c’è altro, il suggerimento che viene da un altro noto consulente di cose tecnico-economiche. Ebbene, il debito non è tutto uguale.
“Un primo parametro da considerare: il totale di debito aziendale espresso per vacca. Un dato accettabile riportato per gli Usa è di 5000 dollari/vacca – spiega – un numero significativo anche per la realtà italiana”.
Che continuando, illustra un altro dato, quello della percentuale di debito sulla Plv. In questo caso l’indicazione è quella di non superare il 100% di debito rispetto a un anno di Plv.
E un terzo indicatore è il debito rapportato al totale del valore aziendale.
Qui l’indicazione generale è quella che esso non superi il 50%.
Ebbene, rispetto a questi parametri, circa il 50% delle aziende seguite dal consulente – e non sono poche – ha un debito sbilanciato.
Certo, le ragioni che hanno portato al formarsi di questo debito sono varie e legate alla storia di ogni realtà.
Ma quello che interessa è il dato di fondo, e torniamo al punto trattato all’inizio: gli effetti che crea questo debito sbilanciato: crisi di liquidità in azienda, limitazione della libertà di azione con rischio concreto di non poter cogliere opportunità di crescita e sviluppo, blocco degli investimenti per dare più efficienza, riduzione della redditività. Fino all’ipotesi più funesta per il futuro di un’azienda: fare nuovo debito per pagare il vecchio debito.
Questa, conclude, è la situazione peggiore, quella che impone una immediata verifica fin nei minimi dettagli di ogni passaggio della gestione, di ogni costo, di ogni scelta fatta, perché è una sorta di avviso di sfratto dall’attività.