Una buona notizia: non è per forza obbligatorio che quando il mondo agricolo comunica all’esterno, al consumatore, debba per forza fare cose fare campagne noiose e, tutto sommato, abbastanza inefficaci.
Infatti, se scorrete queste immagini, converrete che si tratti di una cosa originale, divertente, che coglie il punto, ma lo fa con l’arma che i gran sacerdoti dell’ortodossia vegan-antianimalista conoscono di meno: l’ironia.
Si rifà all’opera famosissima di Magritte (Ceci n’est pas une pipe, tutte le spiegazioni a questo link) e la declina in varie proposte, tutte legate alla carne.
Veramente non alla carne vera e propria, ma a quello che carne non è, perché e vegetale.
Tuttavia per rendersi accattivante (e accettabile) usa con grande disinvoltura i classici, “odiati” termini della ricettistica carnivora.
Come per la pipa di Magritte, quello che si vede sembra una bistecca, una salsiccia, una polpetta, un hamburger ma in realtà è un guazzabuglio vegetale.
Rispettabilissimo, si intende, ma non è quello che mostra di essere.
La campagna di comunicazione “Ceci n’est pas un steak” solleva dunque interrogativi fondamentali sulle informazioni fornite ai consumatori, sul nostro patrimonio culturale e sul potere del marketing moderno, che mescola valori e grandi interessi commerciali senza farsi troppi problemi.
Nel manifesto della campagna, promossa dalle Organizzazioni agricole europee, viene sottolineato il fatto che, per quanto riguardi i prodotti vegani, si tenda a dimenticare che gli agricoltori europei hanno interesse a produrre proteine sia vegetali che animali e non sono contrari alla produzione di proteine vegetali per prodotti vegani.
Tuttavia, le imitazioni vegetali che tendono a copiare le denominazioni e le caratteristiche della carne e dei prodotti lattiero-caseari dovrebbero sviluppare un nuovo approccio.
Il settore dei prodotti di origine vegetale – dicono – dovrebbe essere più creativo. Invece di investire nelle attività di lobbying, queste aziende dovrebbero lavorare su nuovi concetti di marketing, per ottenere il riconoscimento dei consumatori e risolvere il paradosso fondamentale dell’industria delle imitazioni vegetali.
Un’industria – sottolineano i promotori della campagna, ed è un punto da incorniciare – che si sforza di diventare di tendenza non ha bisogno di costruire il proprio successo servendosi di un marketing incentrato su prodotti pre-esistenti e sulla lotta a questi ultimi!”
Che dire: chapeau ai promotori! E pazienza se Magritte obietterebbe che, dopotutto: Ceci n’est pas un chapeau.

