Benessere animale e consumo di antibiotici? E’ come quelle offerte: paghi uno e prendi due. Vediamo perché.
Ci sono questioni che sicuramente avranno un impatto drastico su modo di lavorare dei prossimi anni. Lo si sa, non ci sono scappatoie, e proprio per questo non si può rinviare un cambio di approccio per non trovarsi poi con le spalle al muro quando arriverà l’out-out: o così o niente.
Non illudiamoci: le debolezze strutturali in fase contrattuale tra chi produce e chi compra sono tali da rendere assai improbabile un rovesciamento del rapporto di forze e, quindi, o chi produce è in grado di anticipare le esigenze nuove del mercato o dovrà adeguarvisi all’ultimo momento, con più costi e utili solo altrove nella filiera.
Già è così e peggio non può andare? Vero, ma come diceva in un’intervista tempo fa un noto allenatore di calcio, quando pensi di aver toccato il fondo senti poi qualcuno sotto di te che bussa per farsi aprire la botola.
Prendiamo la questione farmaci. È un nervo scoperto del consumatore, una preoccupazione concreta che è fatta propria da chi i desiderata del consumatore li rappresenta, li porta avanti e fa pressione su chi decide e legifera.
Fare latte con meno farmaci – e qui si intende soprattutto antibiotici – è un imperativo. Chi per primo può dimostrare di essere virtuoso in questo ambito può collocarsi in quel segmento di produttori “appetibili”, perché al loro latte aggiungono una qualità in più, quella appunto di essere a basso input di farmaci. E lo fanno ora, quando questa situazione è dei primi del gruppo.
Questo implica una revisione della gestione, delle strutture, dei protocolli: l’obiettivo massima sanità della stalla è cosa che costringe e rivedere tutto, dalla A alla Z.
E poi non basta ancora: perché si deve essere in grado di dimostrare a che punto si è, si era, e si sarà: servono numeri, dati, cifre, programmi gestionali in grado di dare un quadro chiaro della situazione, un peso a ogni molecola usata, quantità esatte, grafici che mostrino come il percorso verso il taglio del quantitativo di farmaci usati in stalla proceda. Non bastano parole: servono numeri che diano concretezza e raccontabilità agli obiettivi.
Meglio ancora se questo processo virtuoso avviene in una dimensione sovra-aziendale: a livello, ad esempio, di cooperativa, o di caseificio. Perché ci sono anche caseifici privati che hanno creato un rapporto virtuoso con i loro fornitori, fissano obiettivi di miglioramento condivisi e gestiscono le tabelle per il pagamento della qualità in maniera intelligente.
Per tornare al tema centrale, ecco l’esperienza di questo caseificio sociale. Come sempre non faccio nomi, perché quel che interessa è il concetto. Per la questione antibiotici già da alcuni anni sta monitorando i suoi fornitori e soci, con un ranking sul consumo di antibiotici (sono ovviamente proibiti i CIA, i Critically Important Antimicrobials) che colloca ognuno di essi in una data posizione, con un indice che considera molecole e quantità.
Ranking anonimo, ovviamente, ma ognuno sa, in quella classifica, dove è posizionato e se la sua stalla è in zona Champions o in zona retrocessione rispetto alle altre.
E già questo è un grande aiuto, ma se non basta ci pensa la latteria ad avvisare chi si trova nel terzo peggiore della classifica che qualche cosa andrà fatta per migliorare posizione in classifica: revisione gestionale, attenzioni alla sfera sanitaria, antibiogrammi, controlli mirati sul latte e via di questo passo. Del resto quando una squadra precipita in classifica l’allenatore salta o si provano altri moduli di gioco per risalire.
Per ora non c’è un collegamento con il pagamento del latte, ma è cosa che potrebbe avvenire in ogni momento e, comunque, è un criterio per l’ammissione di nuovi soci.
Peraltro è un percorso parallelo a quello del benessere animale, perché i dati dicono che chi ha punteggi medio-buoni per il benessere è anche collocato nel segmento migliore per il consumo di antibiotici.
Insomma: è una specie di paghi uno e prendi due.
Lavorare in parallelo sul benessere animale e sulla riduzione degli antibiotici usati, e farlo in maniera dimostrabile e con dati precisi, è una sfida impegnativa a cui non ci si può sottrarre.