Vedremo impianti biogas spiaggiati come balene quando, finita l’epoca degli incentivi, i conti non torneranno più?
E, più in generale: quale futuro c’è per il biogas italiano dopo gli incentivi?
Il termine critico non è lontano. Tra 6-7 anni cominceranno infatti a scadere i periodi incentivati delle prime autorizzazioni a 0,28 centesimi e si porrà il problema di cosa fare dopo.
Un “dopo” nel quale l’energia elettrica prodotta sarà pagata senza più attenzioni particolari, ossia incentivi: dovrà confrontarsi con un orezzo di mercato dell’energia elettrica di gran lunga inferiore a quello incentivato.
In questa cornice, gli esperti propongono tre scenari diversi.
Ci sarà il gruppo di coloro che convertiranno il digestore alla produzione di biometano, ipotizzando che prima o poi la faccenda verrà sbloccata e ci sarà il via libera anche per l’Italia, un via libera attualmente ancora avvolto nelle nebbie, malgrado sia stato dato per certo in date poi superate, senza che succedesse alcunché. Non sarà un gruppo numeroso, perché una conversione al biometano può essere una prospettiva percorribile solo per gli impianti più grossi.
Un secondo gruppo sarà rappresentato da coloro che, finito l’incentivo, semplicemente usciranno dal mercato, perché avranno costi di produzione dell’energia troppo alti.
Un terzo gruppo è rappresentato da coloro che cercheranno di stare sul mercato, integrando il prezzo ricevuto dalla vendita della loro energia elettrica con altre entrate.
Secondo vari lavori fatti da tecnici del settore, l’attuale costo medio di produzione di energia elettrica da biogas, pari a 21 centesimi/kW, potrebbe essere ridotto fino a 11-12 centesimi, sempre comunque un livello di gran lunga superiore a quello pagato da un mercato libero.
Quindi è certo è che si deve già da ora lavorare per ottenere la massima riduzione del costo di alimentazione del digestore, che è la voce che grava in larghissima misura sul costo di produzione del kW elettrico.
E qui le situazioni sono differenziate e vedono sicuramente in grande vantaggio coloro che hanno impianti tarati per funzionare con il massimo quantitativo possibile (se non esclusivamente) con reflui zootecnici.
Molto più spinto di adesso dovrà essere il lavoro per aumentare l’efficienza nella resa energetica di sottoprodotti, ad esempio la paglia, disponibili in grandi quantità ma penalizzati da una composizione chimica che li rende poco attaccabili nel digestore.
Molto interessanti sono alcuni processi di pre-trattamento e bio-accelerazione che riescono a portare la resa nel digestore di una paglia secca paragonabile a quella di un silomais.
Partendo dal concetto che per il sistema elettrico nazionale il biogas è cosa irrilevante, mentre ha una grande importanza per il sostegno del sistema agricolo, l’unica via di sopravvivenza e rilancio del biogas italiano è giocare al meglio le proprie carte per spuntare nuovi incentivi più mirati.
Ad esempio “contrattando” meglio il prezzo dell’energia messa in rete in orari critici, come il mattino presto o il tardo pomeriggio, quando si affievolisce l’offerta del solare, o in concomitanza con picchi di domanda.
Con il biogas – questo il suo grande pregio – si può stoccare energia, accumulando gas e modulando l’attività dei generatori.
La via ambientale potrebbe essere una strada da percorrere meglio. Dimostrando, ad esempio, l’utilità del biogas per una riduzione delle negatività legate alla gestione dei reflui.
Non è possibile poi immaginare un biogas che si sostiene economicamente senza una adeguata remunerazione del calore prodotto, che attualmente è per la massima parte inutilizzato.
Starà in piedi chi, a questo riguardo, saprà trovare vie adeguate per farselo remunerare.
Tra le possibilità l’allevamento di insetti, attività destinata a crescere di importanza e che, guarda caso, necessita di calore. Una nicchia, sicuramente, Per pochi, forse per molto pochi.
Ma essendo un (possibile) business di domani, bisogna pensarci oggi.