Si applicherà a partire dal 21 aprile 2021 e, quindi, nella normale organizzazione del pensiero e dell’azione che ci caratterizza, il primo pensiero è: c’è tempo, ci penseremo.
Questa non è mai la migliore tra le opzioni in genere, ma ancora meno per il Regolamento UE 2106/429, da poche settimane pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea.
Per farla breve, questo Regolamento definisce il nuovo quadro normativo – e, di conseguenza, operativo – per tutto ciò che riguarda la sanità animale.
Un quadro, quello che è definito dal Regolamento, nel quale è molto chiara l’importanza crescente che hanno nell’opinione pubblica e, quindi, nel legislatore, le preoccupazioni sull’uso dei farmaci in zootecnia e i rischi di resistenze.
Inutile fare finta di niente: l’allevamento dei prossimi anni sarà sempre meno medicato, per amore o per forza. L’allevatore dovrà perciò produrre carne o latte e poter dimostrare che questo è avvenuto con un minimo – se non addirittura assente – utilizzo di certi farmaci, in primis gli antibiotici, nella prassi quotidiana.
E questo non solo per le normative, ma perché solo così sarà commerciabile ciò che produce. Perché, per dirla in altre parole, i grandi marchi mondiali si stanno muovendo verso produzioni a bassissimo o assente input antibiotico e queste linee di prodotto sono anche quelle più premiate dal consumatore.
E in grandi nomi sono come dei rompighiaccio che tracciano una via seguita poi, inevitabilmente, anche dai più piccoli, fino a stabilire uno standard per tutti che diventa la nuova normalità.
In questa situazione, dove la pressione del mercato rinforza quella delle norme e viceversa, il binomio allevamento-biosicurezza diventa la trave portante della nuova struttura.
Attenzione però. La parola biosicurezza è stata usata e abusata e spesso con contenuti variabili in base alla stagione. Ora invece si fa sul serio.
Serviranno protocolli precisi e scritti che definiscano pratiche di allevamento, individuazione dei rischi, modalità di prevenzione previste, individuazione puntuale di chi e come trattare con antibiotici, quando farlo, come, con che molecole.
E dovranno essere protocolli specifici per l’azienda, organici, che comprendano la filiera completa dall’inizio alla fine, raccordati con il territorio circostante, non semplici copia/incolla scopiazzati dal web.
Certo serviranno conoscenze nuove per l’allevatore e per il veterinario, perché la prospettiva si ribalta per tutti: non più intervenire sul caso di malattia, ma lavorare per avere il massimo numero di animali sani. E con il minimo ricorso al farmaco.
Tutto ciò rappresenterà magari un costo aggiuntivo nell’immediato, come ogni grande cambiamento, ma sicuramente potrà diventare un volano di sviluppo e di creazione di valore per la produzione della stalla. Come nei fatti già lo è, per quelle realtà – non solo nel mondo della produzione biologica – che possono certificare produzioni “pulite”.
La biosicurezza è stata per molto tempo considerata nell’allevamento una Cenerentola rispetto ad altre vie più semplici e meno impegnative, inevitabilmente diventate anche delle scorciatoie per coprire deficit gestionali.
Ora Cenerentola si prende la sua rivincita e chi vorrà produrre – che lo voglia o no – dovrà per forza fare il ballo con lei. Meglio dunque non rinviare troppo le lezioni di ballo.