Va bene i lupi, ma forse c’è anche qualche altra possibilità di ripopolare l’Appennino.
Magari ottenendo anche un duplice vantaggio: recuperare un ambiente in via di abbandono e creare valore. Questo è il senso di un lavoro di ricerca che il Cra (il Consiglio per la ricerca in agricoltura) sta svolgendo nel suo centro di Monterotondo, presso Roma.
Di cosa si tratta?
In breve: lavorare per creare un incrocio in grado di offrire carne di qualità (e in quantità soddisfacente) unendo rusticità e tagli di carne. Le due razze coinvolte sono la Maremmana e la Piemontese. L’una ci mette la rusticità, l’altra il pregio della sua carne. Il tutto poi sostenuto e amplificato dall’eterosi.
I risultati sono assai incoraggianti, dicono al Cra. Questi incroci Maremmana x Piemontese non presentano difficoltà al parto (percentuale di svezzati sui nati totali del 92%); bassi costi di allevamento e rese soddisfacenti; adattabilità totale all’ambiente appenninico e alle possibilità di allevamento semibrado.
Non è tutto. La ricerca sta lavorando per accrescere la percentuale di gemellarità, così da aumentare il numero totale di capi disponibili.
Proprio questo è il punto critico: in Italia l’allevamento da carne dipende in larga misura dalle importazioni di capi stranieri per l’ingrasso, mentre la produzione nazionale di vitelli da carne è limitata e non dà segni di crescita.
Il maremmese o piemontano, come si potrebbe chiamare l’incrocio in questione, potrebbe rappresentare un’interessante ipotesi per cambiare la tendenza al confinamento in numeri irrilevanti del nostro allevamento da carne.
E questo riconquistando aree di territorio, come quelle della dorsale appenninica, ora in progressivo abbandono.