Non basta certificare il prodotto, si deve certificare anche il processo
Una volta che si ha chiaro questo concetto, anche tutte le mosse successive si capiscono meglio ed è più chiaro ciò che si deve fare e come orientare gli sforzi.
E il concetto chiave di questi tempi nuovi è che il prodotto può essere certificato quanto si vuole in termini di caratteristiche organolettiche, di contenuti nutrizionali, di gusto, sapore e via elencando, ma se non si è in grado di dimostrare – certificare, appunto – come si è arrivati a tutto questo si rischia di restare fermi ai box.
Perché i circuiti commerciali che contano, quelli – tra l’altro – maggiormente coinvolti per le nostre Dop, sono sempre più attenti alla certificazione di processo, ossia alla dimostrazione che per arrivare a questo determinato formaggio si è percorsa una serie di passi orientati in una direzione ben chiara: benessere animale, sostenibilità ambientale, eticità.
Non importa se alla fine due formaggi, al gusto, saranno identici: quello che ha il processo certificato si venderà, l’altro no, o dovrà essere dirottato ai gironi inferiori della partita.
E queste certificazioni, qui sta il punto, spesso richiedono attributi del processo produttivo che vanno oltre le richieste di legge e a “timbrare” la certificazione sono enti sovrannazionali, che propongono standard volontari. Non sono vincolanti, certo. Ma dato che queste entità certificatrici sono punti di riferimento per i colossi del Food e della Distribuzione, in un modo o nell’altro diventano vincolanti.
Insomma. Non basterà (non basta) certificare il prodotto per venderlo. Potrebbe essere eccellente, ma se non si è in grado di dimostrare che è stato fatto in un certo modo da tutti i conferenti la materia prima usata per produrlo, da chi ha lavorato la materia prima, da chi l’ha portata alla vendita, diventerà poco attraente per gli acquirenti che contano.
Che sono poi quelli a cui si rivolge buona parte della nostra produzione Dop.


In bello stile giornalistico vengono esposti concetti di estrema attualità, che spesso vengono ancora giudicati “visionari”, ma poi sono i motivi di un treno che pur passando si ferma una stazione troppo in là: quella immediatamente successiva.
Bravo Luca, “more solito”.
Dalla stalla al caseificio il sistema allevatori potrebbe già certificarlo gratuitamente 👍
Perché non certificare anche la qualità della vita di chi produce latte? Si è fatto un gran parlare del casaro del film del parmigiano reggiano che lavora tutti i giorni. Sarebbe ora che la smettessimo di pensare solo al prodotto ma anche al tempo che impieghiamo per farlo!
https://youtu.be/R_8ZEgYbQco Vedere per credere….. altro che certificare il prodotto…… ci troveremo a rubarci i dipendenti con fior di soldoni!