

Che mais si porterà a casa, che composizione e che valore nutritivo avrà? Per dare risposte precise ci vorrebbe la sfera di cristallo, ma possiamo azzardare alcune considerazioni.
L’acqua assorbita da parte delle piante è utilizzata quasi esclusivamente (98 – 99%) per il trasporto dei nutrienti, dalle radici verso la parte aerea, ed è poi “persa” per traspirazione, soprattutto attraverso gli stomi. Così facendo, si produce anche un certo abbassamento della temperatura della pianta, soprattutto delle foglie, grazie appunto alla sottrazione di calore dovuta all’evaporazione dell’acqua. Concetto identico a quello su cui si basano i sistemi di nebulizzazione ventilata per il raffrescamento delle stalle.
Durante i periodi di siccità, anche per ridurre le perdite d’acqua attraverso la traspirazione, le piante reagiscono chiudendo gli stomi. Questo è un meccanismo efficiente, che consente di risparmiare una grande quantità di acqua, in quanto una volta chiuse queste “finestre”, le perdite per traspirazione cuticolare, che invece non viene bloccata, ammontano a solo un quinto circa del totale.
Il rovescio della medaglia in questo caso è rappresentato dalla frenata che si impone al “sistema di raffreddamento” per evaporazione che, se combinato con alte temperature ambientali, provoca un aumento della temperatura fogliare, compromettendo, insieme al calo dei flussi di acqua e quindi dell’assorbimento di nutrienti dal suolo, il metabolismo delle piante.
Questo rallentamento consente alla pianta di risparmiare un po’ di energia e nutrienti da utilizzare nella ripartenza quando le condizioni di umidità del suolo dovessero migliorare.
Sembrerebbe infatti che l’attività di fotosintesi (che produce glucosio) sia meno penalizzata da tale situazione rispetto alla respirazione (che lo consuma) e alla crescita, con un conseguente aumento dei carboidrati non fibrosi nella pianta.
Il condizionale è d’obbligo perché, quando le temperature rimangono abbastanza alte anche durante la notte, la pianta continua a “lavorare” respirando e consumando zuccheri, ma ovviamente senza sintetizzarne di nuovi dato che manca la luce. È lo stesso meccanismo per cui una buona escursione termica tra giorno e notte migliora il contenuto zuccherino nell’uva e quindi il potenziale livello alcolico del vino che ne deriva.
Quanto amido si ritroverà nella pianta alla trinciatura dipende molto da come sono andate le cose attorno alla fioritura, soprattutto nelle due settimane dopo l’emissione del pennacchio, ma anche nel proseguo di sviluppo: se è vero che le condizioni ambientali nell’intorno della fioritura/fecondazione sono cruciali per determinare il numero di cariossidi che si potranno formare, l’andamento stagionale successivo determinerà il grado di riempimento di queste cariossidi.
In caso di siccità ci si deve attendere un calo dei livelli complessivi di amido, ma l’entità di questo calo è difficilmente prevedibile e per questo sarà necessario controllarlo con opportune analisi. Ci si può attendere, tuttavia, un aumento delle concentrazioni di zuccheri solubili, che in parte compensano la minor presenza di amido, ma risulteranno anche utili per sostenere un buon andamento delle fermentazioni durante le fasi iniziali di insilamento.
Un aspetto interessante riguarda anche la quota fibrosa, la NDF per intenderci. Nei mais stressati dalla siccità sarà più alta del solito, anche perché meno “diluita” per il calo dell’amido, ma anche più digeribile e anche questo aiuta a compensare il minor valore energetico dovuto all’abbassamento dell’amido. La quota di proteine si può prevedere che aumenti di un punto percentuale o poco più, come pure maggiore risulterà la concentrazione di diversi minerali.
Diventa quindi ancor più importante di quanto già non lo sia in condizioni normali verificare con analisi appropriate l’effettiva composizione del trinciato. Oggi la gran parte delle analisi viene condotta con strumenti NIR, da banco o portatili. Sarà opportuno verificare, con analisi condotte con i classici metodi di laboratorio, l’adeguatezza delle calibrazioni di questi strumenti quando applicate a trinciati che hanno subito uno stress idrico e termico.
Un altro aspetto a cui prestare attenzione è il campionamento del prodotto. Spesso lo stress idrico si manifesta in modo piuttosto disomogeneo negli appezzamenti. Campionare quindi in maniera rappresentativa la matrice in ingresso al silo diventa quindi fondamentale per indagare correttamente la composizione qualitativa del trinciato.
Un ulteriore aspetto che vale la pena di considerare riguarda la presenza di nitrati, che nei mais sottoposti a stress da siccità ci si può aspettare che sia più alta del normale. L’entità di questo problema non è facile da prevedere e dipenderà molto da come è stata gestita la fertilizzazione azotata. Come noto, troviamo più nitrati nella parte bassa della pianta e un suggerimento che non di rado si dà è quello di alzare l’altezza di taglio. Facendo però un calcolo del rapporto costo – beneficio, ossia delle perdite di prodotto e del contenimento dei nitrati nel trinciato, in genere non conviene.
Il processo di insilamento riduce la concentrazione di nitrati di circa un terzo, fino alla metà, ma non conviene fare troppo conto su questa riduzione. Meglio verificare quanti nitrati ci sono nell’insilato e gestirne poi l’impiego, riducendone eventualmente le quantità in razione, a cui saremo probabilmente comunque costretti viste le minori rese in campo.
Un’altra precauzione è prestare particolare attenzione ad introdurre progressivamente in razione questi nuovi alimenti, per consentire un adattamento della microflora ruminale che, se adeguatamente “allenata”, è in grado di inattivarne una quantità rilevante, riducendo anche di dieci volte la percentuale di metaemoglobina a parità di quantità di nitrati ingerita rispetto a quando alimenti con molti nitrati vengono inseriti improvvisamente in razione dall’oggi al domani.
L’aggiunta volontaria di nitrati in razione è stata anche suggerita come metodo per ridurre le emissioni di metano, perché il nitrato è un accettore di potenziali riducenti prodotti nel rumine e limita quindi la riduzione della CO2 a metano. Tutto questo, tuttavia, non dispensa assolutamente dal prendere tutte le precauzioni del caso e quantificare con analisi di laboratorio la reale presenza di nitrati nel proprio insilato (con campione preso almeno dopo 5-6 settimane dalla messa in silo), prestando anche attenzione a come la concentrazione di nitrati è espressa sul certificato di analisi.
La concentrazioni massima di 0.45% della sostanza secca, al di sotto della quale l’uso dei foraggi è considerato sicuro, si riferiscono allo ione nitrato (NO3-).
La tabella sottostante 👇


riporta i coefficienti di moltiplicazione per convertire le concentrazioni espresse in altre forme in quella di nitrato. Ad esempio, se il certificato di analisi riporta una valore di 0.15% s.s. di azoto nitrico (N-NO3), questo equivale a (0.15 x 4.43) 0.66 % di nitrato, indicando un alimento da introdurre in modo graduale nelle razioni e il cui impiego necessita comunque di una certa attenzione.
Redigere opportuni piani di fertilizzazione, che non eccedano i reali fabbisogni della pianta, rimane comunque la strategia migliore per minimizzare la concentrazione finale di nitrati nell’insilato, oltre a ridurre gli sprechi di azoto e i costi, sia ambientali quanto economici, ad essi associati.
Un’eccessiva disponibilità residua di nitrato azoto del nel terreno, soprattutto verso fasi finali della coltura è a tal proposito deleteria. I rischi possono infatti aumentare quando un periodo di siccità sia interrotto da qualche pioggia, eventualità non proprio remota. In questi casi è opportuno aspettare almeno una settimana dall’inizio della pioggia prima di trinciare, perché la pianta tenderà a far ripartire l’assorbimento di nitrati dal suolo più rapidamente di quanto riparta la loro organicazione nei tessuti, con la conseguenza che si avrà, quasi paradossalmente, un ulteriore accumulo di nitrati nella pianta.
Altro punto di interesse quando si parla di mais con stress da siccità riguarda l’opportunità di utilizzare qualche additivo per favorire il processo di conservazione. Gli starter microbici sono certamente quelli di maggiore interesse. Con clima caldo e secco, magari anche ventoso, la carica microbica della pianta in campo si riduce, ma se ci fosse una mitigazione delle temperature e un certo aumento dell’umidità nei giorni precedenti la raccolta questa condizione dovrebbe migliorare. Gli inoculi possono quindi essere certamente di aiuto, ma con la doverosa precisazione che non possono essere impiegati per sopperire a pratiche di insilamento non corrette. Risparmiare sul cantiere di lavoro e investire al tempo stesso in inoculi batterici non ha certo molto senso.
Considerando che le condizioni sono molto differenziate da zona a zona, sia in termini di irrigazione che è stato possibile effettuare che per caratteristiche dei terreni, non è quindi facile fare previsioni sulle caratteristiche della coltura al momento della raccolta. Ancor più che negli anni passati sarà quindi opportuno monitorare le condizioni delle colture prima dell’insilamento e le caratteristiche dell’insilato al momento del loro impiego.
La prima parte dell’articolo è visibile cliccando qui.
Un grazie all’autore, il prof. Paolo Bani, sempre prezioso.