Certo, il problema è esterno: da ogni dove ci si scaglia contro l’agricoltura – e in particolare la zootecnica – accusandola di ogni nefandezza. Il tutto poi, spesso da pulpiti talmente screditati quanto a scienza e buonsenso che ci sarebbe da ridere fino al giorno dopo se non fosse che in genere più sono sparate grosse e più sono prese sul serio.
Detto ciò non è solo dall’esterno che si getta fango sulla produzione agricola.
Un certo impegno, noto e anche un po’ meno noto, lo si mette anche dall’interno. Quando si tratta di fango o, meglio, di fanghi, la questione si fa spinosa e qualche coscienza non è così pulita.
L’utilizzo di fanghi di depurazione in agricoltura è un oggettivo problema. Me ne parlava un agronomo di area padana, me lo confermava un docente universitario di cose agronomiche.
Il mondo dei fanghi di depurazione e la sua promessa di materia organica a basso costo (magari anche a zero costo, se il servizio di distribuzione è compreso nel pacchetto) possono nascondere insidie pesanti.
Come i metalli pesanti, per citare gli apporti indesiderati più comuni, che possono accumularsi nel suolo, anno dopo anno, fino al punto da rendere il terreno inutilizzabile, con tempi lunghissimi per la sua bonifica, costi e mancati redditi.
Il problema è la variabilità delle matrici, l’impossibilità di una verifica continua, il rischio di commistioni tra circuiti di provenienza diversi più o meno cristallini.
Il rischio non è cosa da poco e ci sono sicuramente vie per dare sostanza organica al terreno con meno rischi.
Poi ognuno fa le sue valutazioni e le sue scelte. Però ci sono scelte pericolose per tutta la categoria, non solo per chi le fa.
C’è già una folta pattuglia di avversari esterni che di fango sul settore nel getta in quantità. Potrebbe bastare, senza aiuti dall’interno.