Quando si parla di allevamento di bovini da carne il pensiero va immediatamente allo schema tradizionale: ristalli acquistati all’estero, in Francia per la stragrande maggioranza, e ingrasso in Italia. Una filiera che vive momenti di grande difficoltà da entrambi i lati delle Alpi, per l’effetto congiunto del calo dei consumi, dei costi di produzione, dei prezzi al macello, della caduta dei contributi comunitari.
Una crisi che porta a un declino delle mandrie di vacche nutrici nei tradizionali bacini di approvvigionamento e quindi inserisce un ulteriore elemento di criticità legato alla disponibilità di capi di qualità per l’ingrasso.
Cose note. Così come note sono le potenzialità delle nostre razze da carne, Piemontese in testa. Qualità delle carni, tagli pregiati, robustezza, tante qualità grazie alle quali il brand “Piemontese” ha un discreto appeal in termini di marketing già adesso e, in prospettiva, potrebbe averne anche molto di più.
Più Piemontese per tutti, dunque? Certo, ma non a qualunque costo. La sfida da vincere è quella di produrre vitelli per l’ingrasso in numero maggiore e, soprattutto, con costi competitivi, paragonabili a quelli di altre razze da carne di qualità.
Questo è il punto che è stato sottolineato nel corso di un recente workshop svoltosi a Brà (Cuneo), che ha coinvolto una trentina di allevatori di questa razza, docenti universitari, veterinari, tecnici dell’azienda organizzatrice.
Al di là delle luci innegabili, sono state evidenziate anche varie ombre per quel che riguarda conoscenze e pratiche di allevamento di questa razza.
In sintesi:
– l’interparto nelle stalle è troppo lungo. Solo raggiungendo l’obiettivo ottimale di un vitello all’anno si può essere competitivi;
– c’è troppa variabilità nella gestione alimentare delle fattrici tra le varie stalle e, all’interno della stessa stalla, nei vari momenti dell’anno;
– al problema di elevata variabilità nella composizione dei foraggi aziendali si aggiunge una conoscenza ancora approssimativa dei reali fabbisogni, in particolare di vitamine e microelementi;
– ci sono problemi sanitari molto diffusi, come l’endometrite, poco percepiti perché il più delle volte presenti in forma subclinica;
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Tutti questi elementi hanno un diretto impatto sulle prestazioni riproduttive nelle stalle e riducono in maniera più o meno importante le potenzialità economiche delle singole aziende, oltre che compromettere una possibile crescita numerica di questo comparto, tra i punti di forza del Made in Italy agroalimentare e obiettivo strategico da perseguire.
Rimedi proposti?
Lavorare maggiormente sulla ricerca, a livello universitario e di campo, per colmare le lacune presenti, a partire dalla sfera nutrizionale che va ad impattare pesantemente sugli aspetti sanitari e gestionali.
Non facilissimo in tempi di fondi ridotti per la ricerca, ma possibile se l’obiettivo vede coinvolti insieme allevatori, industrie e ricercatori.
La vacca nutrice può essere una risorsa per rilanciare la zootecnia da carne italiana, ma anche la nutrice chiede di essere a sua volta nutrita come si deve.