Dopo lo scherzetto ucraino, pilotato al punto tale dagli Usa da convincere l’Europa a infilarsi nel sacco delle sanzioni alla Russia da cui i nostri lungimiranti condottieri non riescono più ad uscirne, ecco servita un’altra simpatica novità: la Food and Drug Administration americana mette nel mirino le produzioni casearie a latte crudo.
Roba grossa, perché coinvolge direttamente il nostro export negli Usa proprio nel momento in cui sta realmente iniziando a macinare numeri importanti. Secondo Assolatte, nei primi 9 mesi del 2015 l’export verso gli Usa è cresciuto dal 22,8% per un volume di 24.178 tonnellate di formaggi, con il fatturato aumentato del 26,2%, arrivando a quota 208,5 milioni di euro.
Il rischio che Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Provolone Valpadana restino impigliati in questa rete è reale, come testimoniano le dichiarazioni preoccupate dei produttori italiani.
Così, dopo l’azzeramento del mercato russo ci si troverebbe ad affrontare il problema di un mercato – quello americano, dove i formaggi italiani sono la terza voce del nostro export, con fatturati in continua crescita – che rischia di contrarsi bruscamente.
Mentre con la mano destra si tratta per appianare ogni barriera al libero scambio, con la mano sinistra si alzano nuovi muri, più insidiosi, perché sanitari e quindi capaci di sgusciare come anguille tra le carte bollate dei trattati commerciali.
Certo, non mancherebbero possibili sostituti a coprire i buchi sugli scaffali di vendita, magari pallide imitazioni con assonanze italiane, magari provenienti dall’area asiatica dove gli Usa stanno trattando per la definizione di un altro accordo commerciale, in un triangolo audace e non proprio rassicurante visto da questa parte del mondo.
E con il cerino in mano resterà l’Europa, così afona quando c’è da far sentire le proprie ragioni se divergenti dagli Usa ma abilissima – per mancanza di una visione propria – a infilarsi o farsi infilare nelle direzioni degli altri.