Ormai la litania è talmente ripetuta che ci sarebbe da ridere se non ci fosse tanta malafede che sprizza da ogni dove. È la storia dell’allevamento causa di ogni problema e di ogni male.
Ci sono le siccità? Colpa degli allevamenti.
Ci sono le inondazioni? Colpa degli allevamenti.
Cambia il clima? E di chi volete che sia la colpa, andiamo!
E così salmodiando, è un continuo puntare l’indice. Una pratica in cui si dilettano anche giornali considerati seri, o testate giornalistiche televisive, che non mancano di lanciare e rilanciare scoop o presunti scoop.
Gira e rigira, sempre lì vanno a parare: l’allevamento.
E non serve a nulla ribattere con dati, cifre, analisi, circostanze: niente da fare. Un attimo di tregua e poi ripartono.
C’è una testardaggine nel voler ricondurre tutto a una sola causa che farebbe ridere, se non fosse pericolosa.
Pericolosa perché, innanzitutto, si scherza con il fuoco. Perché c’è un mondo da nutrire e gli alimenti non si formano nei salotti e nelle redazioni più o meno faziose.
E poi perché, quando si parla di allevamenti intensivi come serbatoio di virus vecchi e nuovi, non è la stessa cosa parlare di Asia o di Italia: un conto sono le nostre strutture un conto le megalopoli zootecniche cinesi.
Però la tesi bizzarra è sempre quella: per rimediare a certi “orrori” dall’altra parte del mondo bisogna chiudere qui da noi.
Così poi importeremo anche gli alimenti da quei posti. Si è visto con le mascherine quanto sia intelligente come politica.
La storiella, volgare ma efficace, di colui che per far dispetto alla moglie si azzera gli attributi, direi che calza a pennello. È l’idea fissa di chi pontifica da noi contro i nostri allevamenti, come soluzione ai mali del mondo.