Come sempre, quando si organizzano incontri di portata epocale che coinvolgono il mondo intero, il rischio dell’inconcludenza è sempre presente. La solita, vecchia storia: a parole grandi impegni, nella sostanza ognuno pensa unicamente al proprio interesse.
Un pericolo che incombe anche sulla Conferenza di Parigi sul clima. Tra nubi soffocanti di smog, anidride carbonica, polveri sottili, gas e aerosol di ogni ordine e grado rischia di aggiungersi anche l’inquinante più dannoso di tutti: l’aria fritta delle chiacchiere. Del resto è difficile mettere d’accordo chi per oltre un secolo ha bruciato combustibili fossili e raggiunto un alto grado di benessere e coloro invece che questo benessere vorrebbero raggiungerlo, e per questo hanno fame di energia e usano la via più praticabile che è quella, appunto, del combustibile fossile.
Ma non è questo il punto. C’è il rischio che l’agricoltura sia messa sul banco degli imputati più che essere considerata una componente importante per la soluzione del problema. Vorrei a questo proposito sottolineare qualche spunto intelligente proposto in un suo intervento a Parigi il 4 dicembre scorso dal presidente del Copa Martin Merrild sul contributo che l’agricoltura può dare nella lotta contro il cambiamento climatico.
1 – Coinvolgere i consumatori e far conoscere loro la realtà delle cose: il pianeta deve respirare, ma anche essere nutrito: “Dobbiamo poter contare sui consumatori affinché capiscano meglio il buon lavoro degli agricoltori che forniscono derrate alimentari per nutrire il mondo in maniera sostenibile, combattendo allo stesso tempo il cambiamento climatico. Stiamo già contribuendo alla lotta contro il cambiamento climatico, ma non ha senso risolvere il problema climatico riducendo la produzione in Europa, se poi la si aumenta altrove. L’Ue si è già fortemente impegnata con il suo ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni del 40% rispetto al 1990 e i nostri partner a livello mondiale devono avere degli impegni simili. Ciò deve essere fatto in modo equilibrato onde garantire la sufficienza dell’approvvigionamento alimentare per nutrire un mondo in crescita che dovrebbe aumentare del 60% entro il 2050”.
2 – Sforzo verso l’innovazione e la ricerca come soluzione anche per i Paesi emergenti: “La comunità agricola europea è parte della soluzione nella lotta contro il cambiamento climatico. Soluzioni innovative che riducono l’impronta sul clima permettendo contemporaneamente di aumentare la produzione di derrate alimentari, di mangimi e di bioprodotti possono servire da modello e ispirare gli agricoltori e le loro cooperative agricole di tutto il mondo. Forse le migliori soluzioni europee possono trovarsi in aspetti come la produzione vegetale, l’alimentazione animale, le tecniche di sostituzione e l’utilizzo di coprodotti come la paglia e i liquami. In aggiunta, una migliore gestione dell’acqua, compresi l’approvvigionamento idrico, l’irrigazione e il drenaggio, è necessaria. Dobbiamo capire meglio e migliorare le sinergie tra l’allevamento e la gestione dei prati. Ciò avrebbe un forte impatto sulla cattura del carbonio e su un allevamento efficace”.
3 – Produrre di più con meno. “Il cambiamento climatico è una minaccia per l’agricoltura e la sufficienza alimentare a livello mondiale. Per ogni grado Celsius in più, la nostra produzione di soia o di mais diminuirà del 17%. È evidente che anche in Europa dobbiamo produrre di più con meno per nutrire il pianeta e per evitare la grave instabilità sociale e politica che si è verificata più volte nel corso della nostra storia. Considero inoltre che l’agricoltura e la silvicoltura possano veramente fare la differenza ad esempio nella cattura del carbonio nel suolo e nelle fonti rinnovabili di energia. Questo contributo deve essere riconosciuto”.
4 – Non sia l’agricoltura a pagare per le emissioni altrui. “Gli agricoltori europei e le loro cooperative hanno già contribuito significativamente nell’affrontare le sfide del cambiamento climatico. Francamente, l’ultima cosa di cui hanno bisogno ora gli agricoltori è di essere schiacciati dalle conseguenze del cambiamento climatico sulla loro produzione e l’impatto negativo delle nuove politiche a loro imposte. Dal 1990 le emissioni di gas a effetto serra provenienti dall’agricoltura sono diminuite del 23% mentre altri settori come i trasporti hanno un impatto maggiore. Questo aspetto deve essere preso in considerazione”.