Ci sono momenti di svolta in tante attività, spesso determinati da circostanze esterne che indirizzano la questione su nuovi binari.
Questo potrebbe essere il momento buono per rompere gli indugi riguardo a una proteaginosa che, rispetto alla soia, nella situazione attuale presenta tanti vantaggi.
Si parla di colza, appunto. E riporto alcune considerazioni di un amico nutrizionista.
Innanzitutto, la possibilità di togliere soia alle razioni, soia che ha costi altissimi, ma non solo. Ad esempio è gravata da un carico pesante in termini ambientali, per il fatto di arrivare dall’altra parte del mondo (e per giunta speso da aree disboscate) e questo pesa assai quando si fanno i conti sulle impronte ambientali della produzione zootecnica.
Altro vantaggio: la possibilità di incrementare sensibilmente l’autoproduzione proteica, elemento sensibile per un Made in Italy che, se si va a guardare nelle razioni, ha molto mais e molta soia che nel Belpaese ci sono arrivati solo dopo lunghi viaggi in nave e autotreno.
Almeno fino a ieri. Ora c’è anche il rischio che questi viaggi non si facciano proprio o si facciano a singhiozzo.
E poi il profilo aminoacidico della colza integrerebbe benissimo con la soia, che rimarrebbe in razione, ovviamente, ma a quantitativi decisamente più ridotti.
Infine il ruolo nelle rotazioni, tema agronomico tornato centrale.
E le paure del passato? Niente a che vedere tra colza del passato e colza attuale: infatti le varietà attualmente in produzione sono caratterizzate da assenza di acido erucico e da un basso contenuto di glucosinolati.
Insomma, tante ragioni a favore per bussare di nuovo anche alle porte dei Disciplinari delle Dop.
Senza trascurare, ovviamente, l’aspetto più importante, dati i tempi di gender culture e di pensiero arcobaleno: considerando che c’è chi dice “il” colza e c’è chi dice “la” colza, siamo di fronte a una fluidità maschile/femminile di grandissima modernità.
Tutto è opinabile, ma il commento finale è centrato
Un saluto