Rubo ancora uno spunto (e una slide) – e non sarà l’ultimo (e l’ultima), vista la varietà e la sostanza dei contenuti emersi nell’evento – dal recente Dairy Sumit.
Questa volta andiamo alla fine della filiera, alla mano che si allunga verso lo scaffale.
L’avete visto dalla slide: come si compra oggi? E che differenze ci sono da come si comprava ieri e l’altro ieri?
Le nostre nonne compravano disponibilità: era già un bel colpo se c’era qualcosa da mettere sul tavolo. Le nostre mamme compravano le marche: era la marca del prodotto x o y a dare tutte le rassicurazioni che il consumatore chiedeva, più o meno inconsciamente.
Ma ora siamo nel tempo delle nostre figlie: e queste, estremizzando nella sintesi, comprano informazioni.
Questo è il passaggio chiave, che si riflette direttamente anche su chi produce.
Non basta fare prodotto, non basta fare qualità, non basta essere etici, ambientali, praticanti del benessere: tutto questo deve esserci ma deve essere efficacemente comunicato.
Qui si fa la differenza e qui si crea valore: c’è tanto latte in arrivo, ma la scommessa è che la in più sia trasformata in valore aggiuntivo per la filiera, magari per quel primo segmento che solitamente è quello che mangia le briciole al tavolo delle ripartizioni.
Ma questo anche perché è il segmento che meno riesce a trasformare in informazioni di valore quello che fa. E, ripetiamo, fa tanto, molto di più di quel che si pensi, in termini di benessere animale, di rispetto ambientale, di qualità e salubrità e via salmodiando.
Tuttavia spesso è come il criceto che gira sulla ruota: tanto sforzo, ma gira la ruota nella gabbietta, e tutto il resto resta immobile.
Quindi, per tornare all’inizio: il braccio rivolto allo scaffale compra prodotto e informazioni. La via del valore passa da lì, anche per i produttori.

