In questi giorni, giustamente, è tutto un tripudio di “compra italiano, scegli italiano, mangia italiano”.
E ci mancherebbe altro!
Speriamo che questa ondata non si fermi e diventi sempre più forte e convincente.
Tuttavia, a rimorchio, viene anche l’affermazione del fare tutto in casa, bloccare l’import e darci al solo prodotto interno. Questo è più pericoloso, perché è un po’ come photoshoppare la realtà, trasformandola come vorremmo che fosse.
Perché non si considerano alcuni elementi di un certo peso.
Ad esempio che tanto valore del made in Italy è dato dalla trasformazione e quello che si esporta, anche da parte delle industrie che non fanno Dop, è di gran lunga superiore a quello che sarebbe possibile fare con la sola produzione nazionale. Quindi si arriverebbe a dover diminuire forzosamente le possibilità di produrre ed esportare.
Ancora, sarebbe impossibile produrre in Italia tutto ciò che serve per sostenere la domanda alimentare degli allevamenti qualora essi crescessero al punto da assicurare l’autosufficienza. Per la soia, ma ora anche per il mais, senza le massicce importazioni si potrebbe fare ben poco. Anzi, tragicamente ci sarebbe da chiudere.
Ci sarebbe poi la questione terra: dove la si trova per gestire il surplus di deiezioni da spandere, posto che l’incremento produttivo deriverebbe inevitabilmente da un potenziamento delle aree più vocate?
Detto ciò non è che per forza ci si debba rassegnare a una situazione di lento declino, tanto più ora che torna forte la richiesta di alimenti tricolori.
Ma va impostato un lavoro in tempi medio-lunghi, fatto di investimenti in tecnologie (ad esempio per la gestione delle deiezioni, per aumentare la resa delle coltivazioni e la qualità dei foraggi, per il rinnovo delle strutture) e in costruzione di immagine della filiera produttiva per generare una richiesta stabile di latte italiano, non emotiva, legata all’emergenza.
La diminuzione di latte importato dall’estero non può essere ragionevolmente immaginata per decreto, perché – ammesso che sia fattibile una cosa del genere – le ritorsioni sarebbero immediate e graverebbero tutte sul nostro export, soprattutto di prodotti Dop che sostengono almeno metà della filiera.
La diminuzione delle importazioni può avvenire solo se il latte italiano cesserà di essere una commodity ma diventerà un’altra cosa, anche solo nell’’immaginario del consumatore (magari anche spiegando che è il latte italiano che evita il degrado del territorio italiano) e i trasformatori saranno “costretti” a preferirlo sempre di più, per la spinta del consumatore.
Che ovviamente deve poter capire dove c’è il latte italiano e dove no.
Quanto poi alla pagina sul Corriere di oggi, direi che fa effetto, è pregevole che il comparto che produce metta il naso fuori.
Anche se, a parlare dalla pagina del quotidiano non sono i produttori di latte, ma fornitori di produttori di latte.
E, altro passaggio che mi manda un po’ in cortocircuito, è il vedere che a invitare di comprare italiano siano anche aziende multinazionali che italiane non sono.