Quando questa vicenda finirà, e prima o poi succederà, ci saranno tante macerie da spostare, perché il colpo all’economia che sta provocando è difficile da calcolare, ma sarà enorme.
Come sempre avviene nelle catastrofi (se questa non lo è poco ci manca), c’è anche un risvolto amaramente positivo: si vede con più chiarezza cosa conta e cosa no.
Cosa è un bisogno reale e cosa invece è impalcatura, bisogno posticcio, creazione ad hoc.
Lungi da me, ci mancherebbe, dire che tante imposizioni calate su chi produce (e mantiene un sacco di gente con il suo lavoro) nei campi e nelle stalle siano ingiustificate.
Sono sicuramente giustificate, non fosse altro perché dove c’è una norma c’è un controllore, un impiegato che istruisce la pratica, un funzionario che la verifica, un dirigente che la firma e la burocrazia ha bisogno di norme come le piante necessitano di acqua e terra.
Battuta a parte, il senso del ragionamento è questo: davvero è proporzionata ai veri bisogni la deriva degli ultimi anni, tesa a far dimenticare che produrre alimenti è importante e vitale, per mettere tutti gli accenti possibili su norme e imposizioni per frenarla in ogni modo?
Un esempio: il benessere animale.
Nessuno è così pirla da maltrattare gli animali che alleva, e se lo fa c’è il codice penale. Punto.
Ma il percorso è stato molto più sofisticato e permeante, andando a definire tutta una griglia di regole e certificazioni che l’hanno fatto diventare una professione per tanta gente e un balzello aggiuntivo per chi lavora.
Quanto poi agli effetti sul consumatore finale di un bollino con la certificazione riportata in confezione ho grossi dubbi. Certo, le grandi catene lo richiedono, le industrie si adeguano, la ruota gira e diventa impossibile sottrarsi.
Ma ciò non toglie che siamo di fronte a sovrastruttura più che a concretezza, a uno strato di lavoro e soldi da aggiungere al prodotto, che pesa, costa e tuttavia non si mangia.
Anche perché quando la faccenda si fa seria, come mai era capitato in passato, quando ci sono gli scaffali vuoti e gli ospedali pieni, quando c’è la paura, le cose si mettono in fila per il loro reale significato e certe priorità si dimostrano un po’ meno priorità, almeno per i più.
Produrre alimenti è una priorità. Il resto è importante, importantissimo, ma viene sempre dopo.
Questo va detto e comunicato da chi produce. Che, proprio per non aver mai ritenuto utile parlare al consumatore ha lasciato che altri decidessero al suo posto, e mettessero norme, questionari, moduli a dimostrare quello che poteva essere dimostrato parlando con chiarezza e isolando chi non era degno di fare questo lavoro.
Ripeto: produrre alimenti è una priorità. Il resto è importante, importantissimo, ma viene sempre dopo.
Quando
Perché il benessere animale