Pochi possono ricordare una situazione come questa, che per gravità, preoccupazione, interrogativi senza risposte, rimanda a tempi lontani, fotografie in bianco e nero, Radio Londra sentita di nascosto.
Se è vero che siamo ancora lontani da una completa definizione di tutto ciò che ha comportato e comporterà l’emergenza coronavirus per il nostro Paese, in termini strettamente sanitari a breve periodo ed economici guardando un po’ più in là, qualche considerazione però già la si può trarre.
Una prima considerazione: siamo esseri razionali, è vero. Ma dentro ognuno di noi alberga, più o meno nascosto, uno spirito irrazionale, pronto ad uscir fuori quando all’orizzonte si profila una minaccia oscura.
È uno spirito irrazionale con cui bisogna fare i conti. C’è, non è possibile eliminarlo dall’intimo delle persone. E lo si è visto in mille occasioni, ad esempio quando una vaga minaccia su questo o quell’alimento ha determinato un crollo negli acquisti. Nessuna logica, puro comportamento istintivo.
Poi c’è il modo con cui i fatti vengono narrati: il circo dei media è una calci in culo delle fiere che ruota sempre più forte, che sfrutta ogni appiglio per dare ossigeno a vendite e ascolti in calo verticale. Rivolgersi all’uomo razionale? Quando si può, meglio rivolgersi a quello istintivo, solleticare le paure, indurre una fruizione compulsiva dell’aggiornamento di notizie ripetute in continuazione, enfatizzando toni e drammaticità di tutto a questo scopo.
Anche questo è un dato di fatto: è così e lo sarà sempre di più: i media informano, ma soffiano sul fuoco, perché è funzionale al loro gioco.
E veniamo agli scaffali vuoti, all’assalto ai supermercati: che c’è stato, ma sicuramente non nei termini riportati e, tuttavia, anche questo fa parte di quanto si diceva poc’anzi.
Perché – e veniamo a noi e al nostro mondo – lo scaffale vuoto, la coda al supermercato, la frenesia per portare cibo a casa senza la sicurezza di trovarlo – mette chi questi alimenti li produce sotto una luce nuova.
In tempi di abbondanza, di cibo sicuro per tutti, si dimentica a chi si deve tutto questo. Si continua a parlare del dito (i problemi, che ci sono, ci mancherebbe) legati alla produzione agricola e zootecnica e si dimentica di guardare la luna.
E, cioè, che chi lavora la terra e alleva animali produce alimenti, assicura che gli scaffali siano pieni, sfama la gente. E non in senso generico, ma sfama proprio te e te, che abiti in città, o nella villetta o nel condominio, che ti indigni per il trattore che rallenta il traffico o per l’odore delle deiezioni sui campi, che lanci strali contro chi “massacra” gli animali nelle stalle e annuisci severo quando questa o quella famosa giornalista ti spiega che gli allevamenti andrebbero chiusi, che si dovrebbe smettere di coltivare per passare non si sa bene a che cosa.
Poi, però, quando un virus crea un’emergenza come questa e si tocca con mano la realtà dello scaffale vuoto, quel filosofare un po’ annoiato si mostra per quello che è molto spesso: passatempo per gente che dà il cibo per scontato e che nemmeno conosce come e chi questo cibo lo produce.
Se ogni crisi nasconde anche un’opportunità, come dice chi parla bene (anche se in genere, parla delle crisi degli altri) questa emergenza del COVID-19 ha ribadito, sia pure brutalmente, una verità banale, ma che tanti avevano dimenticato: il cibo c’è solo perché c’è chi lo produce. Tutto il resto viene dopo.
Questo va detto, e va detto soprattutto ora.
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