Magari in un futuro non troppo lontano si scuoterà la testa pensando che un tempo il biogas prodotto con la digestione anaerobica veniva semplicemente bruciato per produrre energia elettrica. Una pratica obsoleta, primitiva, si dirà, passeggiando nella bioraffineria dove il digestore anaerobico sarà uno dei componenti di un sistema in perfetto equilibrio che a partire da scarti, sottoprodotti, reflui zootecnici produrrà una quantità di molecole di altissimo valore, destinate alla cosmetica, alla chimica fine, alla farmaceutica.
È uno scenario futuribile, ma nemmeno tanto. Anzi, è già una realtà che si espande nel mondo: quella delle bioraffinerie di seconda generazione.
I digestori cambieranno in funzione alle diverse produzioni che verranno loro richieste e ad essi saranno aggiunte nuove strutture per ulteriori lavorazioni. Questo perché il biometano e la CO2 che si recupera dall’upgrading del biogas diventeranno le fonti di carbonio privilegiata per bioprocessi in grado di fornire – in maniera più economica di quanto non avvenga ora – un’infinità di prodotti organici di grande valore (senza escludere peraltro la destinazione finale della produzione energetica con quello che resta).
Qualche esempio? Polimeri completamente biodegradabili per la produzione di bioplastiche, resine, acidi grassi, idrogeno, alcoli. Addirittura alcune di queste biomolecole, opportunamente purificate, potrebbero entrare nella catena del food, realizzando un percorso “from fuel to food” che ha dell’incredibile, ma che potrebbe essere preziosissimo in un futuro di alta richiesta di alimenti e poca terra (e poca acqua) per produrne in quantità sufficiente.
In tutto ciò l’azienda agro-zootecnica può recitare un ruolo fondamentale, se ci saranno idee e lungimiranza.
Altro che punto di arrivo. Il biogas probabilmente è solo il punto di partenza.
PS: informazione di servizio. Dato che la neve ormai si vede solo in cartolina, anche in montagna, è sparito l’effetto neve.