In questa stalla di 170 vacche a cavallo tra Lombardia ed Emilia la redditività del proprio latte ce la si gioca in proprio e in maniera originale. Vale la pena leggere, a mio avviso, con spunti interessanti su aspetti come la tipizzazione e il marketing dei propri prodotti o il rapporto con la Grande Distribuzione, non sempre adeguatamente considerati da chi decide di chiudere la filiera in azienda. E questa non è teoria, ma un’esperienza pratica, quindi fattibile.
L’esperienza di questa azienda mostra come sia possibile (non che sia facile, ovviamente, ma possibile sì) uscire dalla tenaglia di un prezzo del latte che non è in grado di remunerare adeguatamente la sua qualità. Questo lo si è ottenuto chiudendo la filiera e commerciando direttamente una parte del latte prodotto.
Fin qui non sarebbe una grossa novità, dato che molte aziende hanno preso questa strada. Qui però si è optato per un percorso differente: la pastorizzazione e il confezionamento in brick, vendendo latte fresco pastorizzato in confezioni da un litro in concorrenza diretta con tutti i nomi grandi e noti del settore.
Questo il primo passo, dettato, come vedremo, dalla consapevolezza di avere un ottimo latte, non solo con i requisiti dell’alta qualità ma anche ricco in omega 3: elementi che li hanno spinti a giocare la carta della valorizzazione mettendosi in proprio.
Al latte si è aggiunta poco dopo la produzione di yogurt, che a sua volta è stata declinata in una grande varietà di gusti. Sulla base di questi prodotti, di pari passo al loro sviluppo, è stata costruita, perfezionata e consolidata la parte commerciale che, come dicono qui, non è un problema tra i tanti, ma “il” problema, che non sempre trova adeguata preparazione tra chi decide di fare il passo della chiusura della filiera in azienda.
La scelta di chiudere la filiera.
Perché questa scelta? La raccontano i titolari, entrambi laureati in agraria. “In stalla mungiamo circa 170 vacche e da anni produciamo latte di alta qualità. La riflessione è nata dalla volontà di trovare una via che portasse a una maggiore remunerazione della qualità non comune del nostro latte”. Già, perché oltre all’alta qualità, il latte che producevano aveva una maggiore ricchezza in contenuto di omega 3 rispetto al latte normalmente prodotto nelle altre stalle del circuito dell’alta qualità, grazie a un programma alimentare mirato”.
“Questo – continuano – è stato un ulteriore elemento che ci ha spinto verso il passo di chiudere la filiera, almeno parzialmente: pensavamo ci fosse spazio per un prodotto locale, di alta qualità e contenente omega 3, elemento quest’ultimo ormai noto al grande pubblico dei consumatori e non più limitato al circuito degli esperti: insomma, poteva essere un elemento di marketing significativo”.
Di esperienze di filiera chiusa in azienda ce ne sono molte, ma la maggior parte di esse riguarda il caseificio aziendale. In questo caso si è puntato subito sul latte.
“Abbiamo puntato sul latte fresco pastorizzato – spiegano i due titolari – realizzando il laboratorio di pastorizzazione e confezionamento, con un impianto in grado di avere una produzione oraria di 1000 litri. Il latte arriva tramite lattodotto dal tank nella stalla ed è pastorizzato e confezionato a pochissime ore di distanza dalla mungitura. Questo fatto ci dà un grosso vantaggio rispetto al latte fresco pastorizzato delle grandi marche (per le quali c’è la fase di raccolta nelle stalle, il conferimento e quindi la lavorazione e il confezionamento), visto che riusciamo a portare sugli scaffali la mattina un latte che è stato munto la sera prima”.
Latte e poi yogurt
Visti i costi dell’investimento il solo latte fresco pastorizzato difficilmente poteva sostenere economicamente l’impresa, e così si è presto allargata la gamma allo yogurt.
“Si è scelto di produrre anche yogurt per aumentare la nostra gamma di prodotti: con il solo latte avremmo chiuso; rimanendo però sempre nell’ambito del fresco: l’attrezzatura per lo yogurt ha un costo paragonabile a quella per il formaggio, ma non c’è la gestione del siero, non servono celle di stagionatura, è più facile da gestire in abbinamento al latte pastorizzato”, spiegano. E aggiungono: “È stato importante l’incontro con uno specialista nella tecnologia di produzione dello yogurt che, valutando le caratteristiche del nostro latte e la possibilità di lavorarlo freschissimo ci ha garantito che avremmo potuto fare un prodotto di qualità superiore. Così al latte si è aggiunto lo yogurt e ora è quest’ultima la produzione trainante la nostra attività”.
Il successo si misura alla vendita
Uno può ottenere il prodotto migliore del mondo, ma il successo dell’operazione si misura alla vendita e solo se questa qualità superiore si riesce a farsela pagare in maniera significativa l’operazione sarà un successo. Ecco perché è sempre interessante vedere come, in esperienze come questa, è stata costruita e sviluppata la parte di promozione e vendita.
Vediamo qualche altro dettaglio. “Il punto di partenza è stato il nostro latte: di alta qualità, ricco in omega 3, più fresco rispetto a quello normalmente reperibile sugli scaffali. Un primo sbocco commerciale l’abbiamo individuato nelle gelaterie che necessitano di latte fresco pastorizzato in confezioni più grandi rispetto a quelle da un litro, o anche sfuso. Per la parte preponderante però l’obiettivo è stato produrre brick da un litro. Abbiamo scartato la bottiglia in Pet, perché il brick ci metteva a disposizione più superficie utile per spiegare al consumatore le caratteristiche del nostro latte: la messa a punto della versione definitiva del brick è stata laboriosa, dal punto di vista strettamente grafico, ma alla fine abbiamo definito una confezione sulla quale spieghiamo com’è la nostra azienda, quali sono le caratteristiche del nostro latte, cosa sono gli omega 3 e perché è utile assumerli. La vendita è cresciuta piano piano, proponendosi ai possibili clienti: latterie, bar, negozi, pasticcerie”.
All’assalto della Grande Distribuzione
Una piccola azienda può proporsi alla Grande Distribuzione? Sì, a certe condizioni. Una volta consolidata questa rete, e maturata la consapevolezza di avere effettivamente un prodotto che si differenziava dal resto dell’offerta, i due fratelli si sono proposti anche alla Grande distribuzione della zona, allaccianod contatti e rapporti con molti marchi importanti. “Il giorno prima ricevono l’ordine per quello successivo e questo consente di ridurre al minimo i resi, che non superano il 5%, rispetto a una media standard in questo campo del 10-12%”, spiegano.
Restiamo sull’argomento della Grande distribuzione: dato che, volendo fare volumi significativi, si tratta di uno snodo cruciale. L’esperienza dei fratelli fornisce spunti interessanti.
“La Grande Distribuzione è interessata a un prodotto locale, da affiancare a quelli tradizionali che ha sugli scaffali. Tuttavia non basta essere locali, questo no. Bisogna saper aggiungere qualche dettaglio, proporre qualche cosa di nuovo. Nel nostro caso l’elemento degli omega 3 è stato un importante argomento di trattativa: il latte fresco pastorizzato di alta qualità già l’avevano, ma noi gli proponevamo un latte che, in più, era prodotto localmente e aveva il plus degli omega 3. Su questi binari la trattativa non è stata difficile, e, se i margini di prezzo con il latte sono minimi, con lo yogurt i margini sono sicuramente più interessanti. Senza trascurare regolarità nei pagamenti e la serietà nel rapporto non sempre riscontrabili nei piccoli negozi. Attenzione però, ripeto: non basta che sia una produzione locale: al buyer della Grande Distribuzione bisogna presentare qualche cosa di originale”.
“Ovviamente, nel nostro caso, tutto ciò che sosteniamo (nella fattispecie, in particolare, la ricchezza in omega 3) è supportato da analisi svolte in continuo, dall’Università e da un istituto di ricerca indipendente: questa garanzia deve essere messa a disposizione della Grande distribuzione, anche se non abbiamo notato una grande pignoleria nell’andare a spulciare i dati: a loro basta che si sia in grado in ogni momento di dimostrare quanto di sostiene su basi inattaccabili. Abbiamo inoltre aderito alla associazione francese Bleu Blanc Ceur, che definisce protocolli rigorosi per l’ottenimento finale di alimenti arricchiti con omega 3”.
Confezioni da studiare
Certo, non si può pensare a un rapporto con la Grande Distribuzione senza rivedere in senso critico anche certi aspetti apparentemente marginali, ma tutt’altro che trascurabili, come le confezioni. Rimaniamo allo yogurt, dato che per quanto riguarda il brick del latte siamo all’eccellenza, trattandosi di un vero e proprio condensato di informazioni sull’azienda, sul latte e sugli omega 3.
“Il problema della nostra confezione di yogurt – osservano i due fratelli – è la mancanza di indicazioni sulla parte verticale, essendo l’etichetta posta sul coperchio. Questo sullo scaffale è un handicap, perché all’occhio del potenziale acquirente c’è solo una superficie bianca, piuttosto anonima, tanto più che a pochi centimetri ci sono altre confezioni di yogurt e l’obiettivo è attrarre l’attenzione non passare inosservati. Da qui la decisione di lavorare sulla parte grafica per arrivare a una modifica della confezione che ci permetta una maggiore visibilità sullo scaffale. Perché poi, una volta assaggiato, il nostro yogurt lo si riconosce subito”.
“Abbiamo, infatti, puntato su un prodotto di eccellenza, che ci permetta di uscire da una trattativa basata sul solo costo: eccellenza che abbiamo raggiunto con la qualità e la freschezza del latte, le modalità di lavorazione, la scelta di usare solo frutta e non aromi, i tempi rapidi di consegna”.
C’è poi un altro aspetto interessante legato alla produzione dello yogurt, che sottolinea come sia importante avere una gamma ampia di referenze da proporre. “Abbiamo gradualmente aumentato il numero di gusti di yogurt e abbiamo notato che, con il crescere della gamma offerta aumentavano anche le vendite complessive”.
Siete arrivati alla fine? Bene. Ovviamente tutto è opinabile e quello che vale qui può non valere là. Ma dove ci sono idee originali e inventiva c’è un futuro anche per chi fa latte.