Immaginiamo che una mattina qualcuno si alzi da una delle tante agenzie transnazionali che mettono il becco su cose attinenti al cibo e al cibarsi e crei, come è già capitato per l’etichetta a semaforo, una classificazioni dei cibi in base al consumo energetico per produrli, dai campi al piatto.
E supponiamo che i prodotti più energivori (nel senso che consumano più energia per essere prodotti) vengano additati come i cattivi della classe, un po’ com per la presenza di sale o il contenuto di grassi.
Ebbene, come se la caverebbero certi formaggi, in celle climatizzate, con temperatura e umidità costanti, il tutto reso possibile non più da grotte e cantine, ma da impianti elettrici in funzione H 24 nei magazzini di stagionatura?
Certo non benissimo.
E sono proprio quei formaggi al vertice della gamma, quelli che puntano ai mercati esteri più sofisticati, esigenti ma anche sensibili a tutte le nuove sirene della produzione etica, sostenibile, a basso impatto, a bassi consumi e così via.
Quindi, diciamo non per oggi, non per domani, ma probabilmente per dopodomani si porrà il problema – come già si sta ponendo e, anche, lo si sta affrontando per il contenuto in sale – il problema di fare lo stesso prodotto con minor consumo di energia.
Facile a dirsi, un po’ meno a farsi, dato che la stagionatura ha le sue necessità, oltre che i suoi lunghi tempi.
Una possibile via d’uscita potrebbe essere la radicazione nel territorio anche della produzione di energia elettrica.
Mi spiego. Prendiamo il Parmigiano Reggiano. Sempre più ampio e stringente è il collegamento tra prodotto e materie prime per l’alimentazione prodotte nel territorio di produzione del formaggio. Lo stesso si è messo in moto per le bovine che producono il latte e si è anche messo a punto uno specifico Indice di selezione.
Perché non fare lo stesso per l’energia elettrica necessaria a tutto il processo produttivo? Energia elettrica che potrebbe essere prodotta da mini-impianti biogas a servizio di aziende singole o, se di taglia maggiore, di pool di aziende consorziate.
Il tutto a creare una quantità di energia elettrica che vada a combaciare, più o meno, con le necessità legate alla produzione del formaggio.
Che continuerebbe sì ad essere un prodotto che richiede un grande input energetico, ma questo punto debole potrebbe essere ribaltato in un punto di forza, dimostrando che tutta l’energia necessaria proviene dalle stesse stalle e dallo stesso territorio in cui viene prodotto il latte, sono prodotti i foraggi e sono stagionate le forme.
Non solo energia verde, ma anche Dop.