Giugno 2016 pare essere stato il mese in cui nel mondo la popolazione che vive in città ha superato in numero la popolazione che vive nelle aree rurali. Una tendenza che continua e che le proiezioni danno come sempre più marcata.
Questo interessa tutti quanti, ma interessa particolarmente chi produce alimenti, e ovviamente anche chi produce alimenti di origine animale. Per tante ragioni, chiaramente, ma anche per una poco considerata e che però aiuta a capire molte cose riguardo alla percezione che il consumatore ha dell’agricoltura e dell’allevamento.
Se la maggioranza della popolazione vive in aree urbane questo significa che è venuto meno – e lo sarà sempre di più – il legame storico, culturale, sensoriale tra una grande fascia di popolazione e la produzione del cibo.
Semplicemente, la maggioranza della popolazione ignora totalmente cosa c’è dietro a una bistecca o a un bicchiere di latte. Non ne ha la minima idea, al contrario del recente passato quando questo legame era naturale e c’era una conoscenza diretta e un contatto di prossimità tra consumatore e produttore.
Nondimeno il consumatore vuole sapere, capire, conoscere di più di quello che mangia, ma – il più delle volte – vuole concetti semplici, immediati, subito assimilabili.
A partire da questi si crea una sua opinione, e questa diventa poi un’opinione pubblica. Inutile dire che tutto ciò che è comunicazione social è il trionfo della semplificazione, con scorciatoie semplicistiche sempre in agguato.
Ma questa è la prossimità di oggi, questa è la finestra sul mondo, questa la via che costruisce un’opinione pubblica, soprattutto per chi vive in un contesto urbano (cioè la maggioranza)
Non essendoci più un ricordo famigliare, un’esperienza diretta, una conoscenza reale vince quello che viene raccontato meglio. E se la narrazione è che il consumare carne inquina, il bere latte inquina, quest’idea diventerà sempre più radicata e creerà una convinzione sempre più condivisa e accettata.
Dunque?
Chi deve contrastare tutto ciò non può più accontentarsi che basti il buon senso, che sia intuitivo e che si raccontino cose che non stanno ne in cielo ne in terra quando si descrive agricoltura e allevamenti.
Se non c’è più memoria diretta, se è sparito un ricordo condiviso, va tutto raccontato dal principio.
Altrimenti si rischia – come si fa il più delle volte in termini di comunicazione con il consumatore – di dare un fieno eccezionale o un mangime pregiato a un vitello neonato, che avrebbe invece solo tanto bisogno di colostro. E gli si dà la colpa perché non mangia.