Il progetto è partito da poco, promosso dalla Ue, e vede coinvolte le facoltà di Agraria delle università di Milano, Torino, Sassari e Atene, con il coordinamento scientifico del Crpa di Reggio Emilia.
Il nome, Forage4Climate, indica la sostanza della cosa: trovare vie di coltivazione in grado di mitigare gli effetti negativi sul clima dell’attività agricola. Questo mediante l’adozione di buone pratiche agricole che verranno elaborate dagli atenei indicati.
Non è un obiettivo di poco conto, perché tutta la questione dei cambiamenti climatici, dei gas serra e del coinvolgimento (in negativo) dell’attività agricola è una di quelle grandi questioni sul tappeto destinate a pesare in termini di opinione pubblica e di norme vincolanti.
Quindi meglio muoversi in tempo. Anche perché quello che è un problema può anche diventare una opportunità.
Soprattutto perché il mondo agricolo ha un grande asso nella manica che prima o poi dovrà decidere di tirare fuori, anche nell’arena della comunicazione al grande pubblico: non solo può adottare, senza grandi sforzi, protocolli produttivi in grado di ridurre grandemente le emissioni di gas serra per unità di prodotto, ma addirittura può proporsi come attore in grado di togliere CO2 dall’atmosfera.
Come? Bloccandola nel suolo, sotto forma di carbonio organico.
Adottando tecniche di lavorazione in grado di arricchire di carbonio organico il suolo, infatti, il risultato inevitabile è quello di limitare la quantità di carbonio in atmosfera, perché quello che si blocca prima è stato emesso.
Magari da altri settori produttivi (industria, servizi) a cui l’agricoltura potrebbe “vendere” questa capacità, nel momento in cui il bilancio del carbonio diventerà un vincolo stringente.
Un po’ come con le quote latte, ma versione carbonio: semplificando, chi, in termini di CO2 produce 5 ma ne blocca 10 (ad esempio un’attività agricola-zootecnica virtuosa) potrebbe cedere la rimanenza di 5 a chi è impossibilitato ad andare sotto questa soglia nel suo processo produttivo.
Per questo è importante seguire queste ricerche e stare sintonizzati su tutto quello che si muove in materia di protocolli produttivi in funzione della minima produzione di CO2. Anzi, meglio ancora, di protocolli produttivi in grado di avere più carbonio bloccato di quanto se ne ha liberato.
Certo, non sarà cosa per l’oggi. Ma meglio essere pronti. Passare dalla parte di aziende che immettono gas serra in atmosfera a quella di aziende che invece i gas serra li riducono sarebbe non solo un bel colpo di immagine, ma anche un valore monetizzabile.