Avete presente quei cimiteri di guerra, file e file di lapidi bianche tutte uguali, ognuna un nome, due date e una storia alle spalle così diversa ma così uguale nel punto conclusivo?
Lo stesso si potrebbe fare in Italia per le tante aziende che chiudono, storie lunghe e a volte lunghissime, costruite e fortificate generazione dopo generazione e, improvvisamente, arrivate alla fine.
Non solo aziende da latte, certo, aziende di ogni tipo rimaste intrappolate in questa ragnatela mortale di di arroganza, stupidità, insipienza, miopia di tutta la classe dirigente occidentale che ha costruito gabbie pesanti, si è richiusa dentro e ha perso le chiavi, proprio mentre queste gabbie stanno affondando nelle sabbie mobili.
Se con le parole si potesse mangiare saremmo tutti sazi, se con le rassicurazioni si potesse bere saremmo tutti brilli, se con i tweet si potesse costruire, la torre toccherebbe il cielo.
Invece siamo qui a vedere ogni giorno un nuovo cancello che si chiude, una storia che finisce.
L’ultima in ordine di tempo è quella di un’ottima azienda, condotta in maniera impeccabile, che mi era capitato di citare come esempio di lungimiranza, passione e acume.
Purtroppo non c’è investimento fatto in passato che regga gli attuali prezzi del latte. Anche con tutta la prudenza dei business plan più accorti negli anni scorsi nessuno poteva immaginare l’impatto di questi prezzi e, quel che è peggio, dei prezzi del “fuori quota”, per quel latte in più frutto proprio dell’investimento fatto.
E così si chiude. Si vendono (si svendono) gli animali, si licenziano i dipendenti, si chiude un storia famigliare.
E si diventa tutti un pezzettino (ancora) più poveri.