D’accordo, prima che i grandi laghi alpini diventino immense buche ne passeranno di anni e di decenni, e probabilmente non sarà così. Ma un dato è certo: il film dell’acqua – nel senso della disponibilità di acqua ovunque, comunque e a basso costo – anche per il nord e la pianura definita irrigua è arrivato ai titoli di coda.
La siccità ha colpito duro, ha colpito molto e non è andata in ferie. L’emergenza continua e, di emergenza in emergenza, si passa dalla eccezionalità alla normalità. Cioè: la norma diventa pensare, programmare, coltivare tenendo presente che l’acqua è – e sarà – il primo fattore limitante da considerare.
Qualche indicazione utile a tenere alta la guardia su questo scenario la fornisce l’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (ANBI) che in un suo comunicato sottolinea la situazione estremamente critica degli invasi italiani: i grandi laghi del Nord sono tutti sotto le medie stagionali e stanno avvicinandosi ai minimi storici (Iseo: 15% della capacità; Garda: 20,8%; Como: 20%; Maggiore: 25,5%); al Sud sono soprattutto Calabria e Basilicata ad evidenziare un calo del 40% nelle scorte idriche, trattenute nei principali invasi.
Secondo gli esperti, quello attuale è il secondo anno più caldo del Pianeta dal 1880: la temperatura sulla superficie della terra e degli oceani è addirittura superiore di 0,90 gradi rispetto alla media del XX secolo.
I suoli si stanno essiccando anche a livello profondo con danni significativi per la sostanza organica e la fertilità: i processi di desertificazione iniziano proprio con il ripetersi frequente di condizioni climatiche come quella di quest’anno.
“La pressione sulle risorse idriche è massima in tutto il mondo”, commenta Francesco Vincenzi, Presidente dell’ANBI. “È molto diverso registrare una caduta di un centinaio di millimetri di pioggia in poche ore o spalmata su più giorni; si rischia così la continua alternanza tra i danni causati da rovesci temporaleschi di estrema violenza e lunghi periodi di totale mancanza di precipitazioni, che si traducono in cali di produzione agricola oltre che di sofferenza per l’ambiente”.
Quale via di uscita?
Non si può fare molto sul clima, ma si può invece realizzando nuovi bacini di raccolta, per catturare l’acqua quando arriva. Ne servono tanti, tantissimi: nell’ordine delle migliaia (ANBI ricorda di aver presentato un piano ventennale per la realizzazione di 2.000 nuovi bacini, grazie ad un investimento di 20 miliardi di euro; i primi 218 progetti, redatti dai Consorzi di bonifica, sono già definitivi ed esecutivi), disseminati sul territorio, sfruttando tutte le possibili connessioni con infrastrutture già esistenti.
Solo così si può dare una prospettiva alle nostre produzioni agricole e, in prospettiva, a buona parte del made in Italy agro-alimentare.
L’ipotesi di utilizzare cave dismesse, recentemente proposta in Lombardia è, ad esempio, un passo sulla direzione giusta.
Certo, sperando di non trovarle già piene di rifiuti di incerta origine e dubbia provenienza.