Di fronte alle sfide del cambiamento climatico e dei rischi di desertificazione c’è un modo di rispondere fatto di demagogia, frasi fatte e luoghi comuni, non ultimo quello che si debbano aprire le porte senza se e senza ma a migrazioni bibliche.
Argomento quest’ultimo di rincalzo a quello più gettonato, e ormai un po’ appannato e reso meno credibile dall’evidenza, di una supposta fuga di giovanotti africani da guerre non ben definite e localizzate.
Per fortuna ci sono altri approcci, più concreti e volti realmente a risolvere un problema, quello di nutrire milioni di persone, che è realmente un problema enorme.
L’ideologia del buonismo salottiero e della esaltazione del ritorno al campicello come modello agricolo per tutti, produce tonnellate di chiacchiere, che riempiono la bocca di chi parla, le pagine di giornali, ma non la pancia di chi a fame.
Dove la fame è davvero fame, non languore da aperitivo.
Per fortuna ci sono anche persone serie, che pensano che la fame si risolva facendo produrre di più, e non di meno, la terra, senza massacrarla, senza distruggerla, senza sterilizzarla. Persone serie che producono ricerche serie.
Come questa, di cui dà nota il CNR, che ha portato alla decifrazione della sequenza del genoma del miglio perlato. Un progetto che ha coinvolto un team internazionale di 65 scienziati appartenenti a 30 diverse istituzioni di ricerca.
Il punto chiave è che ora è possibile svelare le strategie vincenti messe in atto da questa coltura per affrontare condizioni climatiche estreme. E da qui partire per sviluppare analoghe strategie per altri cereali.
L’analisi della variabilità genetica di un migliaio di linee di miglio perlato, tipicamente ben adattato a crescere nelle regioni desertiche, ha permesso di comprendere meglio come esso possa sopravvivere a temperature estreme e sia eccezionalmente tollerante al secco.
Molti cereali, come il riso o il mais, non sopportano temperature superiori a 30-35°C durante la fase di maturazione dei semi; al contrario i semi del miglio perlato maturano fino a temperature di 42°C.
Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Biotechnology e getta le basi per il potenziale sviluppo di analoghe strategie adattative in altri importanti cereali.
In questa ricerca si è scoperto che, rispetto ad altri cereali come il grano, il riso o il mais, il miglio perlato dispone di un repertorio diverso di geni per la produzione di proteine che agiscono come delle cere naturali in grado di proteggere la pianta dallo stress termico.
È evidente che questa capacità di resistere al calore è cruciale se si considera che gli esperti di cambiamenti climatici prevedono per il futuro una maggiore frequenza delle ondate di calore.
E non è detto che la cosa riguardi soltanto l’Africa, dove questa coltura ha uno spazio importante sia per l’alimentazione umana che come foraggio per gli animali.
La quantità di piogge che si sta drammaticamente riducendo anche in Italia ci mette molto più in sintonia con queste problematiche di quanto si pensi.