Una scritta sulla confezione che minaccia: “Nuoce gravemente alla tua salute”. E, magari, qualche fotografia agghiacciante su come puoi ridurti e, ovviamente, una tassa sul suo consumo.
Stiamo parlando, tra l’altro, di Parmigiano Reggiano.
Ovvio, verrebbe da scompisciarsi dalle risate, visto che, per dire, la Coca Cola Light avrebbe semaforo verde.
E invece è la realtà di dotti, ricercatori e istituzioni di questo mondo vagamente al contrario in termini di logica e buon senso.
È infatti il possibile punto di arrivo dell’allarme lanciato da Organizzazione Mondiale della Sanità e Onu su quegli alimenti il cui contenuto di grassi, zuccheri e sale li porrebbe nelle categorie killer, come il fumo.
Inutile inorridire, comunque: questa è la tendenza. La questione sale è sotto i riflettori e, volenti o nolenti, bisogna affrontarla in maniera tale da avere validi argomenti per controbattere allorché si aprono questioni come quelle sollevate da Oms e Onu.
Per questo mi sembra importante il lavoro di ricerca del Parmigiano Reggiano su nuovi prodotti per nuovi target di consumatori i cui primi risultati sono stati recentemente presentati in alcuni convegni (coinvolti Crpa, Università di Parma e Bologna, vari caseifici e mi scuso se ho tralasciato qualcuno)
L’intento era quello di capire se sia possibile sviluppare nuove tipologie di prodotto in linea con le nuove tendenze salutistiche, senza intaccare la sostanza del Parmigiano Reggiano che è un asset di valore mondiale.
E, tra i filoni di ricerca, c’era anche quello di un Parmigiano Reggiano con il 25% di sale in meno, ovviamente senza che nulla cambi in sapore, aroma, caratteristiche e proprietà.
Questa riduzione avrebbe un significato dietetico, perché effettivamente di sodio con la dieta in molti casi se ne assume troppo, ma anche di marketing, perché indicare in etichetta il basso contenuto di sodio è un richiamo sempre più efficace per il consumatore.
Ovviamente non è così facile fare un Parmigiano Reggiano con il 25% di sale in meno, date le molteplici funzioni che esso ha nella “costruzione” del formaggio, dalla cagliata alla forma finale.
Tuttavia è possibile. E’ stato, infatti, dimostrato che, almeno con forme a 12 mesi di stagionatura (perché la ricerca ha tarato il test a questa soglia), è possibile fare un Parmigiano Reggiano iposodico senza che nulla cambi.
Qualche dettaglio.
Innanzitutto si è monitorato il contenuto di cloruro di sodio medio campionando 50 forme provenienti da 44 caseifici del comprensorio, con una media rilevata di 1,40 (±0,17%).
Dunque, per poter avere il claim nutrizionale (ossia l’affermazione da mettere in etichetta) di un contenuto ridotto di sale si deve avere una riduzione del 25% rispetto allo standard, ossia 1,05 (±0,13%) a 12 mesi di stagionatura.
Questa la soglia di riferimento della ricerca, che ha visto 25 prove di caseificazione e salatura, studiando modalità e percorsi volti a ridurre la quantità di sale finale nel formaggio.
Per farla breve, i risultati ottenuti hanno mostrato un contenuto di sale dei campioni attestatosi mediamente a 1,07%, senza che venissero rilevate differenze a livello sensoriale.
Insomma, la strada del Parmigiano Reggiano con il 25% di sale in meno è assolutamente percorribile, con la possibilità di usare anche questo messaggio per aprire nuovi mercati e consolidare quelli esistenti.
Come nelle arti marziali si userebbe una forza contraria (vedi, in ordine cronologico la presa di posizione di Oms e Onu), per farla diventare una spinta a favore.
Certo bisogna essere pronti, anticipare il problema per farlo diventare un’opportunità.
E la questione del contenuto di sale, per prodotti alimentari di gamma alta che puntano al mondo, è di quelle che non si possono prendere alla leggera.
“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui”, scriveva Dante. Ancora non c’erano Oms e Onu, ma la questione era già aperta da allora.