Chiacchierando nei giorni scorsi con un vecchio bucaniere dell’allevamento da carne – a margine di un convegno in materia – sono emersi spunti interessanti che inquadrano un settore sicuramente in grande difficoltà, che presenta aspetti variegati e anche contrastanti, al punto da rendere difficile la definizione di un trend univoco.
Sono molti gli elementi in gioco in questo mosaico. C’è la Francia, fornitrice storica dei ristalli per l’ingrasso in Italia, che ora ha meno animali da vendere, nuovi acquirenti extra Ue e una concentrazione in pochi soggetti per la vendita dei vitelli, provenienti dall’articolato mondo produttivo francese. Tutto questo – spiega il mio interlocutore – ha conseguenze dirette sui nostri ingrassatori. Non è tanto la minore disponibilità di animali il problema principale, ma il loro costo. Animali di pregio costano molto e non c’è molto spazio per la trattativa. Avendo potenziali altri compratori il ritornello è: prendere o lasciare. Dunque c’è l’ostacolo di un investimento iniziale molto alto su cui è difficile, nel ciclo di ingrasso successivo fino alla macellazione, ricavare una redditività seppur minima. E per chi ripiega su vitelli di minore qualità per ridurre il costo di acquisto va anche peggio, perché poi i problemi che ha all’ingrasso sono tali da rendere impraticabile questa strada.
Insomma, per chi ingrassa in Italia animali esteri è veramente difficile. Praticamente finito – sempre secondo l’analisi dell’esperto – l’allevamento con incroci industriali, basato solo su numeri e quantità. Si salva ancora un po’ il Limousine, ma è sempre una lotta sul filo della lama e basta un minimo problema in stalla e tutto il guadagno del ciclo va a rotoli.
Un quadro, fino a questo punto nero, aggravato poi dal calo dei consumi di carne bovine derivante dalla crisi.
Eppure, proprio da qui, partono considerazioni opposte.
Innanzitutto il calo dei consumi dovrebbe avere ormai avere raggiunto il fondo. Un calo che ha lasciato per strada consumatori di prima fascia di prezzo, passati a carni suine o avicole. Restano quelli più attenti alla qualità della carne che comprano, e un po’ meno al suo semplice prezzo.
Sarà anche per questo che la razza Piemontese sta conoscendo un momento interessante e viaggia in controtendenza rispetto al settore carni nel suo complesso. La domanda di fattrici e vitelli per l’ingrasso è superiore all’offerta e il bacino di allevamento per questa razza sta superando i confini regionali. Molto ha fatto anche la continua e intelligente promozione svolta, non solo in Italia, che ha ormai fissato nella comune percezione della gente l’equazione: Piemontese = bontà, genuinità, tradizione, italianità.
Una finestra di opportunità che potrebbe ulteriormente ampliarsi in futuro. In uno scenario che sicuramente resta complesso, questo potrebbe offrire una via di diversificazione produttiva – parziale, se non totale – anche per alcune aziende da latte.