La prima cosa che viene in mente parlando di zootecnia da latte in Nuova Zelanda è il pascolo. Un binomio inscindibile.
Il pascolo, ovviamente, non è prerogativa solo di quelle parti. Viene subito in mente l’Irlanda, con i suoi prati e le sue vacche pascolanti.
Non viene in mente l’Italia o, meglio, per l’Italia l’idea di pascolo è associata a qualche vallata alpina, magari in abbinamento a generosi compensi pubblici.
Certo nessuno pensa che si possa parlare di pascolo come razionale metodo di produzione del latte in possibile alternativa a quello tradizionale intensivo.
E, invece, c’è chi lo fa. E lo fa non solo su terreni di montagna, ma anche nel cuore della pianura Padana, anche in provincia di Cremona, che è un po’ come l’Arabia Saudita per il petrolio.
È una forma di allevamento che va in direzione opposta a quella tradizionale per molti aspetti.
Ai più potrebbe sembrare anche un’eresia bella e buona, ma sul fatto che questo modo di allevare resti prerogativa di quattro sognatori non ci metterei la mano sul fuoco.
Ci torneremo con esempi concreti, ma intanto riassumiamo qualche punto chiave.
Alla base di tutto c’è il pascolo.
Le bovine hanno parti stagionali e vanno tutte in asciutta con l’inverno, durante il quale stanno in stalla.
Non si produce latte, quindi, per un paio di mesi.
Il pascolo va gestito adeguatamente, con recinti studiati su misura del gruppo di animali presenti e con tempi di sfruttamento razionali.
Oltre all’erba le vacche ricevono una integrazione di mangime, magari alla mungitura, che completi la loro alimentazione.
La mungitura avviene normalmente e può essere svolta sia portando la mungitura al pascolo o facendo arrivare le bovine alla sala mungitura.
Ovviamente la produzione è drasticamente minore rispetto alla zootecnia di latte intensiva, ma i costi sono irrisori. Sanità assoluta, parti senza problemi, massimo benessere, minime emissioni di gas serra, totale sovrapposizione con le richieste del mondo animalista più esigente ma anche con l’idea di latte e allevamento che si fa strada.
Naturalmente servono animali adatti. Ad esempio incroci o razze abituate al pascolo. Devono essere più basse, larghe, con arti più corti e piedi robusti, con necessità metaboliche di mantenimento ridotte.
E servono anche erbai studiati per il pascolo, con miscugli in grado di produrre tanto, resistere al caldo, garantire una tenuta del terreno al capestio. Così come si devono attuare modalità di sfruttamento del pascolo in grado di sostenere il massimo numero di capi per ettaro.
Per adesso ci fermiamo qui, perché questo è solo un assaggio. Ne riparleremo presto.