La paura del bovino ha lunga memoria. Perché come si è detto spesso e come del resto non ci sarebbe nemmeno bisogno di dire, al bovino, nel progetto generale delle cose e degli animali, è toccato in sorte di essere preda.
Questo elemento determina i suoi comportamenti, le sue reazioni, i suoi stress di fronte a situazioni particolari.
Ne abbiamo già parlato, del resto, perché questo riguarda anche le strutture di allevamento, la conformazione degli spazi, l’atteggiamento da utilizzare. Vediamo ora un punto specifico: la paura.
Come spiega un esperto, bovini sono in grado di imparare a temere alcuni elementi (compresi gli umani) e a trasmettere questa paura e lo stress associato anche al resto della mandria.
Questo grado di paura del bovino dipende fortemente dal tipo di esperienza e dalle modalità dei contatti che l’animale ha avuto con l’uomo.
Non è una cosa da poco.
Questo significa che ogni interazione, ogni esperienza tra le persone che lavorano nella stalla avrà un effetto sul futuro comportamento del bovino, un effetto positivo o negativo a seconda che quell’esperienza iniziale sia stata un‘esperienza positiva o negativa per l’animale.
In caso di “impronta” negativa – e non è il caso di fare elenchi, dato che è facile immaginare – nel contatto animale-uomo, la bovina avrà una naturale tendenza a fuggire dall’uomo.
Al contrario contatti positivi riducono la paura dell’uomo da parte delle bovine.
La questione è complicata dalla durata di questa paura, che viene memorizzata e trattenuta, rende così problematiche dal punto di vista gestionale le operazioni di manipolazione degli animali (e anche più pericolose) e moltiplica per lungo tempo gli stress degli animali allorché si profili una persona.
Ultimo spunto: l’esperienza negativa che l’animale si trascina (e ricordiamo può trasmettere al resto del gruppo) non è sempre evidente e quindi possono esserci comportamenti della routine che paiono inoffensivi, neutri, ma non lo sono per gli animali.