Quando si dice che bisogna fare di tutto per preservare l’ecosistema è cosa ovvia. Quando si dice che il clima sta cambiando è cosa altrettanto evidente. Quando però si brandisce questo concetto come una clava allora è meglio fermarsi e cercare di capire.
Al di là di ogni altra considerazione, è evidente la politicizzazione del tema climatico e il fatto che di esso si è impadronito, a livello mediatico, un circuito ideologico che tra i suoi avversari ha anche l’allevamento razionale.
Non per niente è tutto un vaticinare di produzioni biologiche ovunque, di vegetarianismo, di veganismo per evitare che la terra sia predata e spogliata.
Quanto credete che passerà prima che si cominci a ri-mettere sul banco degli imputati l’allevamento razionale “anche” per contrastare i cambiamenti climatici, ridando fiato a chi lo contesta ideologicamente?
È meglio saperlo in anticipo, dato che anche nel mondo agricolo-sindacale non manca chi si accoda alla grande kermesse mediatica di accettare senza il minimo senso critico gli slogan ripetuti sempre più frequentemente e a reti (anche cerebrali) unificate in materia di clima.
I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, se è vero che nel medio evo si coltivava la vite sulle isole britanniche.
Certo, si può fare in modo di non peggiorare le cose, si possono organizzare diversamente le cose, anche il modo di coltivare e allevare (anzi, si deve: se si dimezza l’acqua a disposizione non si può continuare a fare come se ci fosse, dalla campagna alle stalle, per fare un esempio), ma fuggiamo dall’approccio ideologico, per cui improvvisamente ci sono buoni da una parte e cattivi dall’altra.
È partita un’onda ideologica e semplificatoria che usa il clima anche (o soprattutto) per portare avanti temi in agenda che preferisce tenere celati.
Sono convinto che un posticino, in questa battaglia, ci sia anche per regolare i conti con chi si ostina a praticare l’allevamento.