Presto il tema della competizione tra uomo e zootecnia per l’utilizzo delle risorse alimentari acquisterà uno spessore maggiore di quanto non avvenga ora.
C’è la crescita demografica che impone di produrre più alimenti, ma ciò si scontra con la limitatezza di acqua e terra e con le incognite climatiche.
C’è poi una questione dietetica ma, soprattutto, ideologica, con le proteine animali più o meno avversate per l’alimentazione dell’uomo.
Sul banco degli imputati si trovano soprattutto i bovini, che non sono propriamente i trasformatori più efficienti in carne o latte di quello che assumono come alimento. Col risultato che molto facilmente si può sostenere e promuovere la tesi che i kg alimento e acqua che servono per fare un kg di carne siano troppi per essere ancora eticamente giustificabili in un mondo affamato e assetato.
In effetti c’è del vero, ma è altrettanto vero che non si considera adeguatamente un elemento chiave: il rumine. Grazie al rumine, infatti, una bovina è in grado di trasformare sottoprodotti di ridottissimo valore, non contemplabili sicuramente come alimento umano, in energia e proteine nobili.
Questo è il nuovo orizzonte per chi si occupa di nutrizione animale: ridurre sempre di più la frazione pregiata della razione (quindi quella in concorrenza con l’alimentazione umana) aumentando invece la quota di sottoprodotti che non potrebbero in alcun modo essere utilizzati. Ovviamente, mantenendo alte le produzioni.
Sarà quindi una razione sempre più povera, ma richiederà una preparazione sempre più ricca.
È la sfida che hanno di fronte i nutrizionisti per i prossimi anni. Fare, per chi produce. E comunicare per chi consuma.
Auguri.