La situazione è preoccupante, per la scarsità d’acqua, l’assenza di precipitazioni significative nelle previsioni, il basso livello idrico dei grandi laghi lombardi e la mancanza di neve sulle montagne. Una situazione che ricorda la gravissima siccità del 2007.
Il bilancio lo traccia l’Anbi (l’Associazione Nazionale Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue): l’attuale fase di criticità idrica non interessa solo il fiume Po, ma è generalizzata in tutta l’area della Pianura Padana: l’Adige è addirittura sotto il livello minimo, che sfiorano anche i fiumi Enza (portata marzo 2018: mc/sec 5,85; marzo 2019: mc/sec 0,01), Secchia (portata marzo 2018: mc/sec 20,25; marzo 2019: 2,17 mc/sec), Reno (portata marzo 2018: mc/sec 34,9; marzo 2019: mc/sec 6,79).
L’Anbi segnala anche come la situazione attuale del fiume Po sia in linea con le condizioni della siccità del 2007, più grave di quella del 2017 costata 2 miliardi di euro in danni all’agricoltura.
Le osservazioni degli organi competenti sul più grande fiume d’Italia sono omogenee in tutti punti di rilevazione (Piacenza, Cremona, Boretto, Borgoforte, Pontelagoscuro), indicando afflussi inferiori del 70% in gennaio e del 40% in febbraio; nel piacentino, la portata si avvicina progressivamente a quella minima indicata in 400 metri cubi al secondo: attualmente è pari a 482 ma, perdurando le attuali condizioni, si prevede scenda 432 metri cubi al secondo entro il prossimo 19 Marzo.
Secondo l’Anbi, la situazione preoccupa molto, ma esistono ancora margini temporali, utili per nuove precipitazioni, anche se le previsioni a breve indicano eventi temporaleschi, ma non risolutivi, seppur con temperature in calo verso le medie del periodo.
L’evoluzione prevista ripropone, già nell’immediato, il problema della risalita del cuneo salino lungo il delta del Po, quantificata in oltre 9 chilometri nel ramo di Pila.
A destare attenzione è anche la situazione dei grandi laghi lombardi (Maggiore, Como, Iseo), ampiamente sotto la media stagionale; in loro soccorso dovrebbe arrivare lo scioglimento del manto nevoso, che però è scarso a tutte le quote, complici le elevate temperature che, in febbraio, hanno fatto registrare lo zero termico anche a quote superiori ai 3000 metri.
Attualmente il potenziale idrico del manto nevoso è quantificato in 2 miliardi e 200 milioni di metri cubi, che andranno ad aggiungersi a 900 milioni di metri cubi d’acqua, trattenuti nei grandi laghi e nei bacini montani.
Sempre in tema di temperature e siccità val la pena segnalare un recente studio del Cnr-Iia. In questo studio i ricercatori si sono chiesti se il numero dei nuovi record di caldo e di freddo in Italia segua ancora il normale comportamento degli estremi in un clima costante, cioè in condizioni di temperatura media stazionaria. O se questo comportamento sia effettivamente cambiato e segua ora una ‘legge’ diversa.
Analizzando con una metodica innovativa i dati di 54 stazioni italiane nel periodo 1961-2016, gli autori hanno estratto le informazioni della variabilità di temperatura nel ventennio 1961-1980 e hanno simulato il numero di record mensili di caldo e freddo che si sarebbero avuti dal 1981 in poi se non fossero cambiate le condizioni di temperatura e variabilità.
Una volta confrontati questi andamenti con i dati osservati realmente è stato trovato che, specialmente in estate, il numero di nuovi record di caldo ha superato abbondantemente quelli attesi in un regime di clima costante e ci sono state lunghe ondate di calore, più frequenti e più intense.
La frequenza dei nuovi record di freddo va invece calando, specie dagli anni ’90.
In particolare sono da aspettarsi tempi di ritorno molto più brevi per i record di caldo e un po’ più lunghi per quelli di freddo.