L’azienda Agricola Castelbosco a Gragnano Trebbiense aveva già guadagnato in passato visibilità internazionale grazie alla realizzazione artistica che ha trasformato i biodigestori in opere d’arte dipinte da David Tremlett.
Torna a far parlare di sé persino sul The New York Times, che in un articolo uscito sul magazine del 29 agosto, a firma di Christine Smallwood, racconta come il “Museo della merda” realizzato in azienda porti il visitatore alla consapevolezza degli impieghi possibili, nella storia e in futuro, di questo materiale visto non più come residuo di un processo produttivo, ma punto di partenza per un nuovo ciclo di valorizzazione.
Il museo non a caso ha come simbolo lo scarabeo stercorario e ripropone manufatti e realizzazioni di questo materiale naturale e povero.
L’impresa agricola Castelbosco conta su di un patrimonio zootecnico di circa 1500 vacche da latte che quotidianamente producono 50.000 kg di latte, conferito alla filiera del Grana Padano, e 150.000 chili di letame.
Dal 2007 l’azienda è interamente alimentata dall’energia prodotta in loco attraverso i biodigestori. L’elettricità prodotta in eccesso viene venduta.
L’anno scorso è stato aperto il “Museo della Merda”: 10 camere al primo piano del castello (una delle strutture aziendali è proprio il castello del 13° secolo): è uno spazio affascinante – racconta l’articolo – “unmodern”, che mette in mostra dipinti, oggetti, video, arte sulla cacca, un display per lo scarabeo stercorario e un coprolite gigante.
Le visite sono solo su appuntamento, e comprendono una visita guidata della proprietà.
Inoltre, il museo produce e vende prodotti per la casa – tra cui vasi, vasi di fiori, tazze di caffè e piastre – che sono fatti di un composto di letame al forno e argilla che chiamano merdacotta.
Il gruppo, ricorda l’importante magazine, ha vinto il primo premio per il design alla prestigiosa mostra Milano design Week di quest’anno. Il mantra del museo è “sostanza sulla forma”: un approccio al modo di vivere, all’estetica.
“Siamo orgogliosi – commentano da Confagricoltura Piacenza, dando comunicazione della cosa – di poter associare realtà produttive come quella descritta dalla stampa internazionale. Sono la testimonianza e insieme fiore all’occhiello, dell’agricoltura moderna e avanzata che sposa armonicamente modo di vivere, arte, innovazione, sostenibilità e produttività”.
Che aggiungere? Certo, di arte non si mangia, o, almeno, si mangia con difficoltà. Ma questo non significa che non si possa trasformare in arte quello che si fa ogni giorno. Si continuerà a farlo, ma con un animo più sereno e positivo. E l’arte, quella scintilla di unicità che trasforma l’ordinario in straordinario, è ovunque. Anche in una concimaia.