Cosa insegna l’accordo recente tra Inalpi e Sperlari, azienda dolciaria che tra i suoi prodotti di punta ha anche le famose caramelle Galatine, in base al quale si stabilisce una collaborazione che porterà, nelle suddette caramelle, solo latte in polvere piemontese?
A mio parere molto.
Inalpi raccoglie il latte dalla Compral Latte, che conta 230 allevatori che producono secondo un disciplinare preciso e rigoroso, con tutti i pregi della filiera corta, della tracciabilità, della localizzazione geografica.
Gli allevatori che conferiscono il latte sono impegnati attraverso la firma di un protocollo che garantisce elevati standard qualitativi; un protocollo che regola il prezzo alla stalla, studiato e realizzato, dal 2010 e per la prima volta in Italia, in collaborazione con la Facoltà di Agraria dell’Università di Piacenza.
Nella torre di sprayatura di Moretta si lavorano oltre 5mila quintali di latte ogni giorno.
Tutta l’iniziativa, dieci anni fa, è nata e si è sviluppata da una collaborazione tra produttori di latte e Ferrero, che per le sue produzioni dolciarie aveva puntato a un latte in polvere di qualità, tracciabile, identificabile.
Adesso alla Ferrero si aggiunge la Sperlari con le caramelle Galatine, e anche loro saranno ora fatte con solo latte piemontese.
Fin qui la cronaca, ora spazio a qualche considerazione.
Il latte in polvere è un costituente chiave di una enorme gamma di prodotti alimentari, dolciari in particolare.
E in Italia l’industria dolciaria è forte, innovativa, ricca di marchi e prodotti.
Soprattutto per la gamma più alta si arriverà a creare valore aggiunto grazie anche alla qualità e tipicità di certi ingredienti. Nel caso specifico certificare che il prodotto contiene solo latte piemontese è senza dubbio un punto di forza. Lo ha capito anni fa Ferrero, lo hanno capito alla Sperlari.
Certo, questo latte bisogna trovarlo e bisogna trovare una filiera organizzata per produrlo in quantitativi definiti e con i massimi standard, sia a livello di processo tecnologico che, prima, di platea di allevatori e di regole adottate.
Quando queste condizioni ci sono – come per il latte della Compral Latte – scatta un meccanismo virtuoso, una alleanza tra allevatori e industria che si sostiene e rafforza vicendevolmente.
Cosa centra tutto questo con le Dop? In senso classico nulla, ovviamente. Ma il concetto è lo stesso: delimitare un bacino di produzione, caratteristiche certe del prodotto, disciplinari rigidi, quantità annuali definite, capacità di generare valore aggiunto.
Quello che si fa in Piemonte perché non potrebbe essere replicato altrove? Un bacino di produttori di latte di una certa zona potrebbe fare qualcosa di simile, stringendo accordi con questa o quell’industria per garantire stock di latte in polvere “Dop” da farsi in un propria torre di sprayzzazione, da utilizzare nel processo produttivo al posto di indifferenziata polvere bianca?
Certo, serve un progetto, una visione, un investimento tecnologico, ma, come per i formaggi Dop che sono un’altra cosa rispetto ai formaggi indifferenziati, e da questo conquistano mercati e alzano il loro valore, perché non può accadere questo anche con il latte in polvere? Che, dettaglio non da poco, può essere stoccato, conservato e venduto ai quattro angoli del mondo con relativa facilità.
Torniamo alle Galatine e ai prodotti Ferrero: sono esempi lampanti che i produttori di latte possono avere orizzonti più ampi della semplice industria lattiero-casearia per il loro prodotto. Certo, devono essere attrezzati per farlo. E devono saper proporre un prodotto impeccabile e un discliplinare rigoroso. Come avviene per un qualunque prodotto Dop.
Siamo all’inizio, ma questo – a mio avviso – è un percorso da non trascurare, su cui investire. Di latte in polvere è (quasi) pieno il mondo. Di latte in polvere “Dop”, no.