Complimenti a tutti i soggetti coinvolti nella questione del latte contaminato da micotossine, diluito e rivenduto per trasformarlo allegramente in Provolone o Grana Padano.
Complimenti davvero, perché qui c’è un talento che non va sottaciuto, anzi. Il nostro è o non è il Paese delle eccellenze? E questa, signori miei, è veramente eccellenza. Un colpo da maestro.
La sostanza della questione la sapete e può essere trovata nella cronaca. Qui vorrei concentrarmi sugli aspetti di marketing e costruzione di immagine.
Questo è un momento difficilissimo per chi produce latte. Tra le poche vie di uscita concrete c’è la questione dell’etichettatura e l’informazione esatta del consumatore sull’origine del latte che consuma e di quello utilizzato per i prodotti trasformati.
Dando per scontato che il consumatore, potendo scegliere, darà la preferenza al prodotto italiano, del quale c’è da fidarsi: più sano, più controllato, più buono. Eccetera, eccetera: è bello raccontarselo e sentirselo dire. E, comunque, è vero.
In questa fase complicata è fondamentale però avere l’appoggio dell’opinione pubblica, e quindi ben vengano marce con le vacche, manifestazioni, giornate dimostrative: tutte per sottolineare con forza che con l’italiano è meglio e gli allevatori sono vittima di un sistema che li strozza. Loro non hanno colpa.
È colpa dei sindacati, degli industriali, della politica; al limite delle scie chimiche e dello scioglimento dei ghiacciai, ma certo gli allevatori sono puri come colombe, è il messaggio sottinteso.
Ebbene, non è facile far breccia nel circo della comunicazione e far passare dei messaggi chiari, ma qualche risultato sulla conoscenza dell’equazione latte italiano = latte migliore, sano, controllato si cominciava a notarlo.
Ed è qui che emerge la genialità degli allevatori coinvolti nella truffa (certo, presunti, fino a prova contraria e, certo, non da soli, ma con i soliti amici di merenda di qualche caseificio, essi pure presunti fino a prova contraria, s’intende).
Avete presente con le bocce, quando un tiro a casaccio spazza via tutto quello che gli altri avevano pazientemente costruito, avvicinando pazientemente al boccino una boccia dopo l’altra?
Ecco: in un colpo solo questa vicenda regala tanti messaggi al consumatore. Non dico che siano veri, ma il problema nella comunicazione non è la realtà, ma l’idea che ognuno si fa della realtà.
Ad esempio che c’è un sottobosco commerciale che gestisce il latte di cui non c’è da fidarsi troppo. Oppure che il latte italiano non è poi tanto meglio di quello di altre provenienze, visto che i produttori giocano al piccolo chimico con le micotossine per fregare il consumatore. O, ancora, che le legioni di controllori pubblici stipendiati da Stato e Regioni (vanto della sicurezza del Made in Italy) si accorgono di un problema solo dopo che si sono mossi i Carabinieri.
La sintesi impietosa: “L’italiano è meglio? Mah…”
Pensiero negativo che finisce con l’avvolgere come un sudario tutto il mondo della produzione e i suoi sforzi per convincere il consumatore e l’opinione pubblica che è meglio scegliere latte nazionale.
Veramente dei geni a cui affidare un master in marketing e comunicazione. Al contrario.