Vale più l’immagine di un getto di latte nella fossa di mille manifestazioni folkloristiche al Brennero o a qualunque confine, a dare l’assalto all’autobotte straniera carica di latte.
C’è un significato profondo il quel getto di latte che va al di là di tutti i discorsi e le dichiarazioni di circostanza.
A volte è meglio far parlare l’evidenza che raccontarla.
E, se un’immagine ha questo impatto, quanto potrebbe averne non un getto di latte nella fossa, ma dieci, cento, mille? Magari per un giorno, o per una settimana?
Una solidarietà effettiva di chi produce latte che vada al di là delle condivisioni o dei mi piace su Feisbuk farebbe un rumore assordante, anche nel completo silenzio.
Certo, è un’iniziativa che deve partire dal basso, da chi fa, senza aspettarsi che arrivi da chi rappresenta. Semplicemente perché gli interessi – paradossalmente – ormai non sono più convergenti.
Lo si è visto in occasione degli sforzi fatti per collocare il latte di aziende rimaste senza contratto. Il contributo concreto è arrivato da un’aggregazione di soggetti nuova, che ha dimostrato, sia pure in maniera improvvisata, che l’unione fattiva di chi fa può ottenere qualche cosa. Magari poco, ma meglio di niente.
E allora perché non sacrificare una settimana di latte nella fossa, facendo parlare le immagini, piuttosto che finirci tutti quanti nella fossa, accompagnati da chiacchiere e manifestazioni?