Per chi alleva vacche da latte è notorio che l’estate dura un po’ di più rispetto al calendario.
In genere finisce in ottobre, grosso modo.
Nel senso che con la fine di ottobre si comincia a tornare alla normalità nella gestione della stalla e i meccanismi che la regolano, più o meno dissestati nei mesi estivi per il caldo, tornano a funzionare con una certa regolarità e prevedibilità.
Questo capitava in passato, ed era una costante su cui si poteva fare affidamento.
E adesso? Non è più così. Il cambiamento climatico in corso sta cambiando le carte in tavola e la partita da giocare è diversa e più complessa rispetto al passato, quando, peraltro, non era comunque una passeggiata.
Ora le estati non finiscono più in ottobre, ma vanno molto più in là.
Questo possiamo dire da due anni a questa parte, guarda caso dopo due estati che hanno fatto segnare picchi di caldo notevolissimi e prolungati, abbinati a siccità pesantissime, interrotte solo da limitatissime piogge che non hanno fatto altro che creare situazioni di caldo e umidità pazzesche, difficilmente sperimentate prima.
Di conseguenza c’è stato un trascinamento dei problemi innescati nei mesi estivi che è andato ben oltre rispetto al classico mese di ottobre: difficoltà ad ingravidare le vacche, parti complicati, diminuzione delle difese immunitarie, problemi vari di ordine sanitario che si ripresentano dopo anni e anni dalla loro soluzione, che si supponeva definitiva.
Questo è un grosso problema, che impone di considerare come un obbligo sulla strada della sostenibilità dell’impresa tutto ciò che aiuta a ridurre lo stress da caldo delle bovine: ventilazione, docce, aperture, ombreggiamenti, spazi.
Le strade sono queste, anche se gli effetti cambiano in base alla capacità di individuare i punti di maggiore criticità da correggere e di fare un buon lavoro, in termini di attrezzatura utilizzata e correttezza di posizionamento e installazione.
Quello che è certo è che non ci son più le estati di una volta. Quando finivano a ottobre.