L’impronta carbonica del latte è anche una questione di sanità della mandria.
Con impronta carbonica si intende la sommatoria di gas ad azione climalterante prodotta, rapportando il tutto a CO2, nell’intero ciclo produttivo del bene considerato, nel nostro caso il latte.
Se adesso la questione è di attualità, ma ancora non così stringente, c’è da scommetterci che ben presto diventerà un criterio vincolante, un po’ come accaduto e accade per il benessere animale.
E ci saranno graduatorie che metteranno in fila le stalle proprio per l’impronta carbonica che caratterizza la loro produzione. Appunto, come per il benessere animale.
Ed essere in fondo alla classifica sarà penalizzante in termini di contribuzioni pubbliche e di accettabilità del prodotto, di prezzo pagato, per non parlare della parte normativa che andrà sicuramente a metterci il naso.
Insomma, che si debba prendere l’impronta carbonica al latte che si fa non c’è alcun dubbio e, di seguito, bisogna fare i modo che decresca.
Per entrare in uno dei tanti dettagli, parliamo di sanità della mandria. Già, perché – a dimostrazione che dove le cose vanno bene ci si trova belli e pronti altri risultati – l’impronta carbonica del latte è anche una questione di sanità della mandria.
Lo si è visto misurando dati di stalle reali e ci si arriva anche con la logica: per avere la migliore impronta carbonica del latte prodotto serve la massima efficienza, ossia la massima quantità di latte (o carne) prodotta a parità di risorse utilizzate.
Ebbene, è chiaro che allorché ci sono mastiti, chetosi, metriti, problemi podali e così via, l’efficienza si riduce. E, di conseguenza, il valore dell’impronta carbonica del singolo litro di latte si alza.
Qualche numero?
Eccoli, come esposti in un recente convegno.
Una chetosi per ciò che comporta in termini di ridotta produzione, latte di scarto, aumento dell’interparto, aumento della riforma, porta a un +7,9 kg di CO2eq/tonnellata di latte corretto per ogni caso di chetosi subclinica.
Per le cellule somatiche si ha una riduzione del 3,7% dell’impronta di carbonio passando da 800mila a 500mila. Ogni mastite clinica porta a un aumento del 6,2% dei kg CO2eq emessi; +0,4% per ogni caso di dermatite digitale; +4,3% per ogni caso di malattia della linea bianca; +3,6% per ogni caso di ulcera podale.
Al di là delle cifre – che sono comunque un fatto di prima importanza – quello che conta è il concetto: puntare alla massima sanità della stalla porta in dote anche una minore impronta carbonica.
Il “bollino” sull’impronta carbonica della stalla sarà prima un optional, poi una necessità.
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