Bene, si riparte. Buon anno a tutti.
Sarà un anno cruciale perché, dopo un trentennio verrà archiviata l’epoca delle quote latte. Ognuno, dal 1° aprile 2015, sarà libero di produrre quanto vorrà e come vorrà.
Ormai manca poco: alle tante previsioni, analisi, dissertazioni di esperti su come sarà il dopo quote, lo si vedrà nella realtà. Anche se qualche elemento chiaro c’è già fin da ora. Anzi, più d’uno.
Ad esempio è chiaro che non sarà una corsa ad armi pari, o, se preferite, un combattimento tra pesi della stessa categoria. Un po’ come se sul ring si sfidassero pesi massimi contro pesi leggeri, senza più un arbitro – dato dalla gabbia delle quote – capace di imbrigliare i primi e sostenere i secondi.
La fascia del nord Europa è pronta a usare al meglio le sue carte: vantaggio climatico, terra disponibile, filiere strutturate, costi energetici inferiori, burocrazia più snella e meno costosa, strategie e politiche mirate. La fascia del sud, ovviamente, arranca. Nel caso dell’Italia poi tutto quanto è un vantaggio per il nord Europa si traduce in un handicap: difficoltà climatica, filiere fragili e litigiose, contrapposizioni politiche nazionali e locali, terra disponibile scarsa e costosa, burocrazia invadente, spesso ottusa e sempre enormemente dispendiosa.
Un’altra certezza è che sarà ben poca cosa l’eventuale sostegno pubblico al settore: nel dopo quote ognuno dovrà, sostanzialmente, cavarsela da solo. E dovrà farlo in uno scenario internazionale di non facile interpretazione, con elementi favorevoli e sfavorevoli che si sommano e, come in un gioco di forze, a seconda del prevalere dell’uno o dell’altro, determinano la direzione.
Tra i punti a favore c’è il trend consolidato della domanda di latte in crescita: sempre più gente nel mondo vuole bere latte e, soprattutto, assumere proteine animali. Il crollo del prezzo del petrolio allontana i rischi di speculazione anche sulle commodities agricole e rende sempre meno conveniente la via delle bioenergie, liberando mais e cereali per l’alimentazione. Questo, unito a buoni raccolti e scorte abbondanti dovrebbe dare tranquillità sul fronte dei costi alimentari. Un dollaro che si rafforza sull’euro dovrebbe poi favorire il nostro export: se è potuto crescere con un euro forte, a maggior ragione dovrebbe farcela con un euro più debole.
Ma ci sono anche tanti punti dubbi, se non preoccupanti: tutta l’impalcatura dei prezzi internazionali è definita da variabili come gli acquisti cinesi, la crisi con la Russia e della Russia, gli effetti del crollo del prezzo del petrolio (come andranno le importazioni di tanti mercati promettenti che basavano la loro crescita nell’attitudine alla spesa proprio dalla vendita di petrolio, quotato ora la metà di quanto fosse sei mesi fa?).
Il maggior quantitativo di latte prodotto in Europa (anche se il prezzo basso del latte potrebbe paradossalmente essere un freno a certi programmi di massima spinta alla produzione di latte di alcuni Paesi europei) nel dopo quote da qualche parte andrà e, senza sbocchi adeguati nei mercati più lontani andrà a premere su quelli vicini, e non solo in forma liquida, ma anche trasformata (in Belgio, per dirne una, si investe per produrre mozzarelle).
E allora, come sarà questo 2015, primo nel dopo quote? Rispondere sarebbe come prendere un meccanismo complesso, togliere delle rotelle, rimetterne altre, dare una bella scrollatina e poi prevedere con esattezza cosa succederà.
Una cosa però è certa: chiunque abbia una buona idea nel cassetto per migliorare l’efficienza della sua azienda è ora che la tiri fuori.