Ammettiamolo.
Sarà per un retaggio di film visti e rivisti, dove il russo era sempre quello che faceva la parte del cattivo sbaragliato dallo yankee di turno tutto muscoli e bistecche. Sarà anche perché ai tempi dell’Unione sovietica il grigiore – piuttosto che il rosso che piaceva tanto al regime – era la nota cromatica dominante, a fronte dello scintillante mondo americano. E sarà pure perché, nella patria dell’inglese maccheronico, chi l’inglese lo parla per nascita è considerato con un certo tremore e timore.
Insomma: nella sfida tecnico-culturale, anche in tema di stalle e vacche, gli Usa, nell’immaginario collettivo hanno sempre sbaragliato tutto quello che c’è a est dell’Europa: Russia, appunto.
E ci mancherebbe: l’american way nel mondo dairy ha un posto di prestigio che nessuno discute.
Però, c’è un però.
Semplificando, e quindi con tutti i limiti del tanto al chilo, c’è molto nell’american way alla produzione di latte (verbo esportato in tutto il mondo dall’esercito di professori e tecnici di vario ordine e grado che affollano palchi di ogni sala convegni) che è perfetto, ma con un punto debole: è un insieme di regole, protocolli, misure abbastanza rigido.
Un cappello che si vorrebbe indossare su ogni testa.
Ma, come insegna l’osservazione, di teste ce ne sono tante e non è vero che uno splendido cappello cada a pennello per tutti. Per qualcuno può essere piccolo, per altri grande, e così via.
Vero è che sono in molti, per una certa sudditanza tecnico-culturale, a infilarsi questo cappello sempre e comunque, in Italia e nel mondo, applicando senza fiatare schemi e protocolli a stelle e strisce.
Tuttavia c’è qualcosa che sta cambiando. C’è una qualità nel “mercato” dell’assistenza tecnica che è sempre più apprezzata e, guarda caso, è la risorsa principale dello stile italiano alla produzione di latte: l’adattamento della tecnica alle mille realtà differenti che ci sono nel mondo. Non per niente la zootecnia italiana è quella che opera con una varietà di climi e situazioni tale da essere un vero e proprio spaccato di ogni Paese al mondo.
Da qui una competenza dei nostri tecnici e allevatori, che trovano sempre più estimatori – e chiamate – all’estero, fuori dall’Europa.
In particolare verso est: Russia e suoi vecchi satelliti. Qui si sta letteralmente ricostruendo la zootecnia da latte e c’è un’impronta italiana che cresce, seme di sviluppi futuri ancora più significativi.