Attingendo al serbatoio di spunti che ha fornito la chiacchierata con Paolo Moroni, nelle Serate Steaming Up di qualche tempo fa (che potete – contenti voi – trovare a questo link e a quest’altro), vorrei riprendere e sottolineare un passaggio che interessante. E cioè quello del microbismo della lettiera che diventa anche microbismo della mammella.
Non mi riferisco agli eventuali patogeni, anche se ovviamente si tratta della preoccupazione principale, e per questo quella su cui i riflettori sono sempre accesi.
Parlo invece di popolazioni microbiche non significative dal punto di vista delle patologie mammarie.
Anzi, magari a volte considerate anche utili nel contrastare altri batteri potenzialmente pericolosi, secondo il noto principio che se il posto sull’autobus lo ha già occupato un amico vicino a noi, non potrà occuparlo il tizio che non desideriamo avere accanto.
Popolazioni batteriche che possono svilupparsi per aggiunta nel substrato, magari per controllare proprio le fermentazioni, oppure possono svilupparsi perché favorite, rispetto ad altre, da un mix di umidità, pH e calore durante lo stoccaggio, ad esempio del separato da riutilizzare poi.
In questo caso, in una massa instabile come può essere un separato umido stoccato per giorni, è difficile sapere di preciso cosa c’è dentro nel tumulto batterico in atto.
Per farla breve: che siano buoni, cattivi o “neutri” ci sono buone possibilità che questi batteri arrivino a colonizzare capezzolo e mammella.
Come detto, lasciamo da parte l’aspetto prettamente patologico: c’è però anche quello delle caratteristiche del latte, che sono legate anche alla sua peculiare flora batterica.
Un bouquet specifico, quasi una fotografia microbiologica di una stalla e di un territorio.
Ecco allora che spolverare nuovi ceppi, anche a fin di bene, può portare in circolo nuovi ospiti, che non è detto siano totalmente indifferenti ai fini delle caratteristiche del latte.
Tanto più laddove questo è indirizzato a produzioni casearie di eccellenza.

