Allora: non è certo il caso di stare a elencare tutte le ragioni per cui gli attacchi ripetuti del fronte animalista (generalizziamo così per semplicità), all’allevamento sono un fatto dettato spessissimo da furore ideologico, che piega dati e fatti a un disegno preordinato. E il disegno è: per l’allevamento non ci deve essere spazio.
E chissenefrega se la popolazione cresce e vuole mangiare, se industria e trasporti fanno molto di più e peggio sul clima dell’allevamento, se le pratiche agro-zootecniche nei paesi occidentali sono tra le più eco-compatibili del globo, se è nell’efficienza dell’allevamento e non nella sua riproposizione a canoni da tempi antichi la via maestra che dati e logica suggeriscono… niente da fare: l’allevamento non deve esserci – è l’ideologia – oppure limitarsi a pochi animali da compagnia, per un mondo a misura di pallidi vegani.
Di questo si è parlato tante volte e non di rado mi piace usare l’arma l’umorismo, perché gli spilli dell’ironia sono armi efficaci contro il gonfiarsi delle ideologie.
Detto ciò, per non farla troppo lunga, appurato che “noi” abbiano ragione e “loro” torto, qualche riflessione bisognerà pur farsela.
Il mondo dell’allevamento non può non avviare una grande riflessione, per capire se davvero, al suo interno, non ci sia bisogno di fare un po’ di ordine e se tutte le accuse siano così false e prive di fondamento.
Perché, ad esempio, è un po’ zoppicante una difesa che parla di allevamento nel suo insieme, ma non considera che c’è una questione di densità da valutare. E ci sono aree del nostro Paese dove la concentrazione degli allevamenti è altissima. E in queste aree è verosimile che qualche problemino più marcato in ordine ambientale e di rischi sanitari, ad esempio, ci sia rispetto ad aree a zootecnia minima.
In queste aree la gestione delle deiezioni non può, ad esempio, essere considerata con leggerezza: diventa un fattore chiave di sopravvivenza del settore e sono gli allevatori per primi quelli che devono lavorare per escludere al loro interno ogni abuso e leggerezza.
Lo stesso dicasi per le emissioni in atmosfera, o per le questioni sanitarie: chi lavora in aree ad alta densità zootecnica deve dimostrare di essere al di sopra di ogni sospetto, con i protocolli più aggiornati per la biosicurezza, con le misure più efficaci per la riduzione dei problemi ambientali.
E deve dimostrare di avere a cuore il problema, riconoscere che c’è del lavoro da fare e che lo si sta facendo, individuare step successivi e rendere pubblici obiettivi e tempi per raggiungerli.
Questo vale ovunque, sia chiaro, ma per le aree a maggiore densità zootecnica, dove c’è un’opinione pubblica da conquistare, ancora di più. Perché è qui che attecchiscono più facilmente gli slogan contro l’allevamento.
Dire che tutta la ragione sta dalla parte di chi alleva (e se non lo si dice in genere lo si pensa) e il torto dall’altra, ignorando di guardare una realtà che è necessariamente complessa e non può essere tagliata in due metà con l’accetta, significa spostare sempre più in là nel tempo la soluzione del problema.
Tuttavia il tempo non è nostro alleato, perché nel frattempo gli “altri” bombardano con le loro accuse e a queste va ribattutto con dati, progetti, anche qualche ammissione di colpa, magari, per dare più valore agli impegni che si prendono.