Quando si dice che l’allevamento da latte deve recuperare le sue potenzialità come produttore anche di carne non ci si limita alla valorizzazione dei vitelli maschi.
Certo, questo è un punto chiave. Con la diffusione sempre più massiccia del seme sessato è possibile ormai programmare un numero importante di incroci e vendere così vitelli ibridi per l’ingrasso decisamente meglio pagati dal frisone in purezza.
Se si considera la richiesta crescente di animali da carne nati in Italia e il gap esistente attualmente tra produzione indigena e importazioni, e, ancora, se consideriamo la potenzialità di certe aree ad alta densità di allevamenti da latte che potrebbero, senza sforzo, programmare lotti importanti di vitelli per l’ingrasso a grande uniformità (ad esempio usando un numero ristretto di tori incrocianti), si capisce che chi fa latte non può permettersi più di considerare la produzione di carne come una cosa che non lo riguarda.
Ma la questione carne riguarda anche, sia pure in misura minore quanto a redditività ma pur sempre interessante, anche le vacche a fine carriera.
Anche questo capitolo va rivalutato e sfruttato al meglio.
Peraltro è una voce – il recupero di redditività delle vacche a fine carriera – che è dei legami solidi con un percorso di miglioramento complessivo della gestione della stalla e un innalzamento dei suoi standard sanitari e riproduttivi.
Diciamo che è quasi inevitabile: anche se non si vuole arriva, non ci si può fare niente.
È quello che mi raccontava un allevatore, un centinaio di vacche in mungitura, che da alcuni anni ha fatto un percorso importante per migliorare la sanità della mandria, affidandosi a qualche bravo tecnico e impostando protocolli rigorosi in transizione, in sala di mungitura, nella gestione delle cuccette, nella creazione di gruppi mirati per l’asciutta, con massime attenzioni nel post parto, con il perfezionamento dei sistemi di raffrescamento per ridurre gli stress in estate.
Ebbene, al di là di altri importanti benefici arrivati in seguito a questo lavoro, sottolineava proprio un recupero interessante di denaro per le vacche a fine carriera.
Migliore sanità generale significa anche riduzione della rimonta forzata. E qui sta il punto. Scegliendo ogni anno le vacche da riformare non solo si migliora il livello genetico della mandria, ma si riesce a mandare al macello animali in buone condizioni, si riesce a prepararle, a dare un po’ di forma. Si azzera o quasi la macellazione di urgenza, la vacca a terra e tutte quelle situazioni che portano a un deprezzamento dell’animale, se non a un costo vero e proprio.
Per farle breve: tra una media di 150 euro/capo per vacca a fine carriera di prima e una di 750 euro di adesso, considerando una quarantina di vacche riformate all’anno passano dei soldi non disprezzabili. Anche perché sono soldi recuperati senza nessun costo aggiuntivo, che si aggiungono ad altri vantaggi monetizzati su altri versanti.
Insomma, è vero che sono vacche da latte (certo, laddove ci sono razze come la Pezzata Rossa o magari incroci con più muscolo addosso il discorso è ancora più interessante) ma non va dimenticato che a fine carriera possono dare qualche cosa di più anche per la carne.